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Vertenza pensioni, una scure da 23 miliardi potrebbe abbattersi sul prossimo governo

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Il prossimo 24 ottobre la Corte costituzionale tornerà ad occuparsi di pensioni. Per capire quello che potrebbe accadere occorre ripercorrere le tappe essenziali della vicenda.

Nel 2011 la legge Fornero (l. n. 214 del 2011) dispone il blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS (1443 € lordi nel 2015) per gli anni 2012 e 2013. Nell’aprile 2015 con una decisione che solleva un vespaio di reazioni (la n. 70 del 2015, cosiddetta “sentenza Sciarra”) la Consulta dichiara l’illegittimità del blocco che, secondo i giudici, comportando una perdita definitiva del potere d’acquisto dei pensionati, sacrificherebbe in modo irragionevole il diritto costituzionale ad una prestazione adeguata, per di più nel nome di generiche esigenze finanziarie.

Una sentenza inequivocabile. Giusta o sbagliata, opportuna o inopportuna che sia, la sentenza Sciarra è chiara: l’INPS deve rimettere nelle tasche dei pensionati la rivalutazione monetaria maturata fino a quel momento e adeguare gli assegni pensionistici futuri, con un esborso stimato di circa 17,5 miliardi di Euro nel 2015 e 4,4 nel 2016 e per ogni anno successivo. Per evitare un’impennata dell’indebitamento e una voragine nei conti pubblici l’esecutivo corre quindi prontamente ai ripari e, invece di adottare gli opportuni atti di indirizzo, confeziona in fretta a furia un decreto legge, con cui finge di “dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015” ma in realtà ne aggira il dispositivo, spostando il problema avanti di qualche anno. Il “decreto Poletti” (n. 65/2015, poi convertito in legge n. 109/2015) restituisce infatti ai pensionati solo una minima parte degli arretrati per il 2012-2015 e non a tutti: poco più di 2 miliardi di Euro, rispetto ai 17,5 dovuti. Si comprende dunque perché numerose ordinanze di tribunali del lavoro e corti dei conti abbiano ritenuto fondata e non irrilevante la questione di legittimità costituzionale, chiamando di nuovo in causa la Consulta.

Considerazioni d’obbligo. Senza entrare nel merito giuridico e politico della sentenza Sciarra, che senza dubbio ha omesso di considerare un complesso di aspetti rilevanti e che avrebbe potuto essere meglio calibrata e meno “tranchant”, dal punto di vista giuridico un dato è indiscutibile: il decreto Poletti è palesemente illegittimo. Innanzitutto, perchè ripristinando di fatto una norma illegittima elude la sentenza della Corte e viola l’art. 136 Cost., che impone al legislatore di accettare l’immediata cessazione dell’efficacia giuridica delle norme dichiarate incostituzionali. In secondo luogo perché continua a porsi in contrasto con le norme e i principi costituzionali già rilevati dalla Consulta, cui si aggiunge ora l’ulteriore questione, strisciante, della lesione dei “diritti quesiti” dei pensionati. Sulla carta dunque, stando alle premesse e considerando che il 24 ottobre il relatore sarà di nuovo lo stesso della sentenza 70, ovvero la giudice Silvana Sciarra, l’esito sembrerebbe scontato. In realtà non è così.

Indiscrezioni giornalistiche. Se è vera infatti l’indiscrezione riportata dalla stampa secondo cui nel 2015 sei giudici erano a favore dei pensionati e sei contrari, e la sentenza Sciarra è stata emanata perché tra i favorevoli figurava il presidente (Criscuolo), occorre considerare che oggi gli equilibri nella Corte sono cambiati. Non solo e non tanto perché il presidente è un altro (Paolo Grossi), ma per il fatto che nel dicembre 2015 sono stati nominati i tre giudici mancanti e due di questi, in particolare, meritano attenzione: Barbera e Prosperetti. Il primo infatti, è autore di un articolo dal titolo eloquente: “La sentenza relativa al blocco pensionistico: una brutta pagina per la corte”; il secondo, anch’egli commentando la sentenza Sciarra, afferma che dagli articoli 36 e 38 cost. non si può “evincere il principio della immodificabilità del potere d’acquisto” delle pensioni.

Tre possibili esiti. Alla luce di tali premesse, è dunque evidente che gli scenari sono aperti, l’esito non è scontato e gli esiti possibili sono tre.

Il primo. La Corte conferma il proprio orientamento e dichiara costituzionalmente illegittimo il decreto Poletti. In tal caso il prossimo Governo si troverà nella difficilissima situazione di dover reperire la copertura per un debito enorme e che, per di più, lievita di giorno in giorno.

Il secondo. Il collegio, ricorrendo ad una vera e propria acrobazia giuridica, salva integralmente il decreto Poletti. Certo, ritenere che la Corte debba per forza essere rigorosamente coerente con i propri precedenti e non possa contraddirsi, sarebbe troppo. Basta ricordare quello che è successo con la recente e per certi versi analoga vicenda del blocco delle progressioni stipendiali dei dipendenti pubblici non contrattualizzati: legittimo il blocco per i docenti universitari, i diplomatici ed il personale della guardia di finanza; illegittimo (ma guarda un po’…) quello, identico, per i magistrati. Peraltro, i principi che questa volta finirebbero per essere schiacciati sotto il rullo compressore sarebbero troppi e, alcuni, troppo consolidati.

Veniamo quindi al terzo e più probabile (ed auspicabile) scenario. Calibrando con attenzione le possibili argomentazioni e (ri)considerando aspetti ignorati o sottovalutati dalla sentenza Sciarra, la Consulta giunge ad una soluzione di compromesso, distinguendo tra il prima e il dopo decreto Poletti, ossia riconoscendo da un lato i diritti acquisiti dai pensionati per effetto della sentenza Sciarra (gli arretrati maturati dal 2012) ma facendo salve dall’altro lato le disposizioni del decreto Poletti per il periodo successivo all’entrata in vigore dello stesso.

Il rischio in ogni caso è grosso e la cosa migliore sarebbe che chi governa si assumesse la responsabilità e risolvesse la vicenda anticipando la Consulta. Basterebbe prevedere l’integrale restituzione ai pensionati degli arretrati, al netto delle imposte e con una dilazione in cinque/dieci anni, e riadeguare i trattamenti futuri, casomai con una ragionevole differenziazione per scaglioni, in linea con la sentenza della Consulta n. 173 del 2016.

Peraltro, è chiaro che, con le elezioni ormai alle porte, ben difficilmente un esecutivo in scadenza si assumerà una simile responsabilità. Toccherà quindi probabilmente al prossimo Governo gestire una patata che potrebbe essere molto bollente.

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