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Chi sbuffa contro gli algoritmi che fanno ballare il petrolio

Di Stephanie Yang e Timothy Puko

Per analisti e investitori, quest’anno incapaci di decifrare il mercato del petrolio, la colpa è tutta dei trader automatici basati su algoritmi. In diverse sedute del primo semestre, anche in presenza di un rallentamento dell’offerta, i prezzi del greggio sono scesi molto, e poi sono caduti nel bear market. Movimenti che hanno confuso gli osservatori di lungo corso, che in base ai fondamentali prevedevano un aumento dei prezzi. Chi investe nell’oro nero, basandosi sull’andamento di domanda e offerta, sostiene che tali forze non guidano più le quotazioni. Prendiamo il 25 maggio. Anche dopo l’accordo Opec sui tagli all’offerta, il petrolio è sceso del 5%. Se alcuni hanno attribuito ciò alle aspettative degli investitori di tagli ancora più pronunciati, altri sostengono che la discesa si è inasprita poiché gli algoritmi hanno cavalcato il trend. Per gli investitori che guardano ai fondamentali è l’esempio di come gli algoritmi basati sui segnali tecnici influenzino le materie prime come mai prima d’ora.

Il ministro saudita dell’energia Khalid al-Falih è tra coloro che hanno puntato il dito contro il trading tecnico per il crollo del 25 maggio. “Per molti è giunto il momento di vendere”, ha detto in un’intervista dopo la riunione Opec del 25 maggio. “Una volta rotte alcune barriere tecniche, anche quello ha avuto un impatto”, ha detto. Anche se il trading automatico da anni imperversa su borse e mercati e obbligazionari, solo da poco rappresenta la maggior parte dei trade sull’energia. Da fine 2014 alla fine del 2016, stando a uno studio dello scorso marzo della Commodity Futures Trading Commission (Cftc), il trading automatico dei contratti energetici ha rappresentato il 58% del volume, rispetto al 47% del precedente biennio. Le comunicazioni settimanali sullo stoccaggio di greggio negli Stati Uniti sono ancora importanti per il mercato, ma le oscillazioni di prezzo sono state amplificate dai trading programmati, dicono gli analisti. L’8 e il 9 marzo, secondo gli analisti, gli algoritmi hanno colpito dopo che i dati hanno mostrato livelli di scorte molto elevati. Quel giorno il petrolio è scivolato sotto i 50 dollari al barile per la prima volta negli ultimi 12 mesi.

“Un numero crescente di attori di mercato è influenzato più dalle prime pagine dei giornali che dal conteggio dei barili”, ha commentato Michael Tran, capo strategist per l’energia di Rbc Capital Markets. “Molto è dovuto agli algoritmi”. Le strategie variano molto tra i fondi, rendendo difficile quantificare l’impatto di algoritmi e automazione. La loro complessità li rende anche comodi capri espiatori, ricorda Michael Pomada, ad di Crabel Capital Management, hedge fund che gestisce 2,2 miliardi di dollari, di cui 700 milioni in strategie event-driven. “È lo spauracchio”, ha continuato. “La gente tende a criticare le cose che conosce poco”. Spesso gli algoritmi sono basati su metodologie intricate e poco trasparenti. Tendono a seguire regole prestabilite su quando acquistare e vendere, sfruttando segnali come le medie mobili e la volatilità. Ma i trader possono combinare i modelli matematici e la discrezionalità della mente umana per inserire investimenti sui movimenti dei prezzi da un giorno a diversi mesi. Anche se operatori e algoritmi utilizzano l’automazione per eseguire gli ordini, il livello crescente dei trade automatici riflette l’influenza e la velocità dei computer nelle contrattazioni sul petrolio. Inoltre, il trading computerizzato sta sbarcando in altri mercati delle materie prime. Stando alla Cftc, i trade automatici sulle derrate agricole sono salita dal 38% del biennio precedente al 49% del biennio 2015-2016, e dal 47 al 54% nei metalli.

Ma il greggio è stato alquanto vulnerabile a grandi oscillazioni quest’anno, in quanto gli operatori cercano di valutare l’impatto dei tagli Opec in un contesto di surplus globale. Intanto i momentum trader che fanno uso di algoritmi hanno catturato le tendenze del mercato, dichiara Peter Hahn di Bridgeton Research Group. Ma capitali si stanno riversando anche su alcune strategie algoritmiche. Nel 2016 gli investitori hanno pompato 25,5 miliardi di dollari nei commodity trading advisor (Cta), molti di quali usano algoritmi per seguire i trend dei futures (dati Preqin). Nel primo trimestre di quest’anno i Cta hanno attirato altri 7,2 miliardi di dollari di nuovi fondi, portando gli asset totali a 256 miliardi. A sentire i fondi che utilizzano strategie che seguono i trend, è improbabile che i loro modelli interferiscano con il mercato. Anche quelli tradizionali, non specializzati nel trading sistematico sulle materie prime, possono essere trend follower. “Esistono player di tutti i tipi”, ha ribadito Christopher Reeve, direttore della gestione del prodotto per Aspect Capital, un Cta che impiega strategie che seguono il trend e gestisce più di 6 miliardi di dollari.

“Dovremmo osservare molto rapidamente se avremo un impatto troppo elevato sul mercat”. Per Goldman Sachs bisognerebbe approfittare dei Cta. “Chi è legato ai fondamentali non dovrebbe averne paura, ma piuttosto leggerle come generatori di opportunità quando allontanano i mercati dai fondamentali”, ha scritto in una ricerca sulle materie prime datata 29 giugno. “Anche i trader guidati dai fondamentali stanno mettendo a punto modelli tesi a prevedere come i trend follower spostano le quotazioni”, afferma Anthony Caruso, responsabile delle strategie quantitative e macro di Mesirow Advanced Strategies, fondo che investe in hedge fund. “Sanno che quelli che seguono i trend sono in qualche modo il proverbiale elefante nella stanza”, ha concluso.

(Articolo pubblicato da MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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