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Curdi, iracheni, americani e russi dicono che il Califfo è vivo

isis

Il comandante dell’unità specializzata dell’anti-terrorismo del Kurdistan ha detto alla Reuters che il Califfo Abu Bakr al Baghdadi è vivo “al 99 per cento”. È, per buona parte, il punto finale a una serie di circostanze sommatesi negli ultimi giorni che, seppure con scetticismo e molti dubbi, facevano sembrare questa morte un pelino più vera di altre; si scrive “questa” e “altre” perché, come succede sempre per i grandi dittatori coperti paranoicamente dai sistemi di sicurezza del regime, anche su Baghdadi le notizie sono pochissime e i casi di morte si susseguono con costanza periodica.

Quello che dice il capo dell’unità d’élite curda (CTG è il nome) è importante, perché i suoi uomini hanno informazioni ottime sulle vicende dello Stato islamico: lo combattono, ne catturano i miliziani, hanno infiltrati, ne seguono le tracce da anni. Non bastasse, anche il capo del dipartimento di intelligence e antiterrorismo del ministero dell’Interno iracheno, l’unità specializzata nel dare la caccia ai jihadisti, ha confermato che il Califfo è vivo.

E pure il Pentagono pare aver messo il punto finale su alcune dichiarazioni un po’ ambigue uscite qualche giorno fa. James Mattis ha detto venerdì 14 luglio che l’approccio americano resta fisso: “Noi assumiamo che sia vivo finché non possiamo dimostrare diversamente. E adesso non possiamo confermare diversamente”. Pure la Russia è in difficoltà: dopo aver ambiziosamente dichiarato l’uccisione del Califfo prima di ottenerne conferme ufficiali a giugno, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto lunedì 17 luglio che ancora, dopo un mese, non ci sono prove sufficienti: servono “informazioni più precise”, perché quelle che arrivano “sono contraddittorie”.

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