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Ecco come le banche tedesche hanno aggirato il fisco

Deutsche Bank, bund

All’inizio di quest’anno, tagesschau.de, il sito del notiziario della televisione pubblica tedesca, pubblicava un articolo che iniziava così: “C’è grande agitazione per il salvataggio delle banche italiane. Un tema, quello delle banche pericolanti, che interessa però anche la Germania, e come nel caso italiano anche nel nostro, si parla di cifre di tutto rispetto per evitarne il tracollo. Ma mentre il dramma consumatosi attorno al Monte dei Paschi di Siena ha riempito per settimane le pagine dei quotidiani tedeschi, il salvataggio delle nostre banche è parsa più una notizia di contorno”. Tra le banche tedesche in difficoltà veniva di nuovo citata la HSH Nordbank, le cui quote di maggioranza appartengono alla città di Amburgo e alla regione Schleswig-Holstein. Questa banca era stata già puntellata nel 2009 con 3 miliardi di euro sborsati da città e regione. Ora era di nuovo in crisi, messa in ginocchio, come altre banche di credito navale, a causa della crisi che quel settore attraversa.

Alla preoccupazione sulla sorte di questi istituti se ne è aggiunta ora un’altra, come si leggeva un paio di giorni fa sul sito della Süddeutsche Zeitung. “Il Bafin teme per la stabilità di molte banche” titolava il quotidiano di Monaco e spiegava poi nel dettaglio i motivi di tale preoccupazione dell’Istituto di sorveglianza della banche tedesche.

Dopo la crisi finanziaria e il salvataggio di diversi istituti di credito (salvataggi costati al contribuente tedesco 236 miliardi di euro, secondo i calcoli della Deutsche Bundesbank), le banche avevano giurato di voltare pagina, affari dubbi non se ne sarebbero più fatti.

Nel novero dei buoni propositi non rientravano a quanto pare però le transazioni finanziarie “cum-cum” e “cum ex”, entrambe condotte a spese dello Stato. La normativa tedesca in proposito prevede quanto segue: nel caso di questi titoli azionari che prevedono anche una quota dividendi, il titolare, se tedesco, riesce il più delle volte, attraverso una sorta di gioco delle tre carte, a non pagare  l’imposta sul reddito da capitale. Ecco come funziona: in prima battuta paga l’importo dovuto al fisco, successivamente può però dichiarare perdite all’atto della vendita dei titoli azionari e detrarle dalle tasse dovute.  Per l’azionista straniero, invece, questa scappatoia non c’è. E così le banche si sono inventate un altro stratagemma. Poco prima della distribuzione dei dividenti  prendono temporaneamente in carica questi titoli. Successivamente all’accredito dei dividendi, questi tornano al legittimo proprietario e poi azionista e banca si dividono l’importo incassato. Un’astuzia che, stando alla Süddeutsche Zeitung, è costata al contribuente tedesco diversi miliardi di euro.

Affari dunque più che dubbi, per i quali gli istituti di credito dovranno ora rispondere, restituendo quanto a suo tempo indebitamente incassato. Una provvedimento che potrebbe mettere in ginocchio soprattutto i piccoli istituti di credito così come alcuni di quelli in mano pubblica. È quanto teme il Bafin, motivo per cui questo martedì ha inoltrato ai 1800 istituti di credito e casse di risparmio tedesche questionari da compilare e restituire al più tardi alla fine di ottobre.

Attraverso questi moduli, il Bafin vuole capire l’entità della somma che ogni singolo istituto suppone di dover sborsare e a quali fondi intenderà attingere. A mettere in allarme l’istituto è stata una circolare, con la quale il ministero delle Finanze comunicava di aver aperto il fascicolo relativo alle transazioni “cum-cum”. Di fatto questa scappatoia è stata chiusa nel 2016, ma fino a ora non sono state date indicazioni agli uffici tributari su come comportarsi riguardo a quelle del passato.

I controlli partiranno dal 2013 ma il ministero stesso non sa ancora quantificare né il numero degli istituti coinvolti in questa operazione e nemmeno i rischi che da questo potrebbero sorgere per il settore finanziario tedesco. Come annota la Süddeutsche Zeitung, l’unica cosa certa è che non si tratta di due o tre casi isolati e che a essere coinvolti non sono solo istituti di credito privati ma anche banche regionali e casse di risparmio di diritto pubblico. E c’è anche la Commerzbank, salvata a suo tempo per il rotto della cuffia, con i soldi pubblici, e di cui  lo Stato resta azionista per il 15 per cento. Secondo stime ancora molto approssimative si parla di qualcosa come 1 miliardo di euro che le banche coinvolte dovranno complessivamente versare al fisco.

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