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Cosa succede in India sulle leggi anticonversione

Di Andrea Gagliarducci per ACI Stampa

Una legge anticonversione per l’India. È quella che l’assemblea dello Stato di Jharkhand potrebbe discutere il prossimo agosto, rispecchiando un desiderio del Partito Bharatiya Janata (BJP).

L’idea di una legge anticonversione è stata lanciata nel 2014 dal presidente Amit Shah. La legge servirebbe a controllare le conversioni religiose nella nazione. L’idea della legge è stata appoggiata da diversi alti rappresentanti del partito, e il primo ministro dello Stato di Uttar Pradesh, Yogi Adjyanath, ne ha fatto parte del suo manifesto elettorale.

Si tratta, insomma, di una situazione abbastanza avanzata, che si inserisce in un quadro di crescenti violenze contro le religioni. C’è un sito, Speak Out Against Hate, che raccoglie in maniera certosina le segnalazioni delle azioni anti-religiose in India.

Finora, sono stati raccolti circa 865 rapporti, inviati via email o sms. Sono divisi per categorie, che si possono anche incrociare. Per esempio, 832 rapporti riguardano intimidazioni e minacce, ma questi poi possono sfociare anche in violenze fisiche (segnalate 417 volte) da perpetuare magari in complicità con le autorità (come è successo in 146 occasioni), il tutto con il rischio che la vittima sia anche imputata per aver violato la libertà religiosa (si contano 35 casi).

Vive di questi pesanti contrasti l’India che Papa Francesco vorrebbe visitare: si parlava di un viaggio a novembre, ma ancora non c’è un invito presidenziale, e dunque ancora non se ne è fatto nulla.

Contrasti che rischiano di acuirsi con la nomina a presidente Ram Nath Kovind, 71enne e membro della casta dei Dalit, i cosiddetti intoccabili, una volta emarginati dalla vita sociale e oggi vero e proprio ago della bilancia delle elezioni con il loro pacchetto di 200 milioni di voti.

Eppure, nonostante l’arrivo di un Dalit ai vertici della scala gerarchica, ad opera tra l’altro del partito nazionalista Indù, i vescovi hanno stabilito un giorno nero da osservare il prossimo 10 agosto per non dimenticare i dalit cristiani discriminati in India da 67 anni. Perché i Dalit indù, come il presidente, possono scalare la società, ma non quelli che abbracciano il cristianesimo.

Le “scheduled caste” sono regolate da un ordine costituzionale del 10 agosto 1950, che afferma che “nessuna persona che professa una religione diversa dall’induismo può essere considerata membro delle Scheduled Caste”, ordine poi modificato per includere sikh e buddhisti, nel 1956 e 1990.

Ma il paragrafo 3 dell’ordine costituzionale crea invece degli ostacoli ai dalit musulmani e cristiani, ed è il motivo per cui i vescovi hanno chiesto a tutti di osservare un “giorno nero”, con incontri, raduni, dimostrazioni, scioperi della fame, veglie e via dicendo”.

Al di là della narrativa, infatti, la discriminazione contro i cristiani è altissima. E non solo. Lo scorso 15 luglio, nello Stato del Punjab, il pastore pentecostale Sultan Masih, 47 anni, è stato ucciso a colpi di pistola davanti al tempio di cui era pastore. Ciò ha causato la protesta di centinaia di cristiani il 16 luglio. Le proteste hanno bloccato una autostrada nazionale per tre ore, finché non ci sono state rassicurazioni da parte della polizia che i perpetratori del delitto sarebbero stati portati di fronte alla giustizia.

(Articolo pubblicato su Acistampa)

(Foto CCBY-SA 2.0 Creative Commons)

 

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