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Macron, sfide e rischi di una presidenza napoleonica

Riequilibrare i rapporti tra Francia e Germania nell’ambito della Unione europea. Ampliare l’area di influenza di Parigi nel Mediterraneo, anche a discapito dell’Italia. Fare da ponte alla strategia nuova Amministrazione americana che chiede ai suoi partner occidentali di assumersi oneri e responsabilità nelle aree di conflitto e di attrito, dalla Libia all’Iran, per ridurre lo spazio di espansione geopolitica della Russia e della Cina. Un vasto programma, così forse avrebbe ironizzato il Generale-Presidente francese Charles de Gaulle, misurando le enormi sfide che Emmanuel Macron (in foto) intende affrontare.

Il neo Presidente ha inaugurato il suo quinquennato con un metodo chiaro: politica-spettacolo, elevato impatto della comunicazione simbolica, atteggiamento muscolare. Innanzitutto deve far uscire la Francia dalla irrilevanza mediatica a cui si era ridotta durante la Presidenza di François Hollande, approfittando degli spazi di manovra determinati dal fallimento della strategia obamiana che si fondava sull’isolamento della Russia da una parte e della Cina dall’altra, mediante la stipula di due accordi commerciali paralleli con l’Unione europea ed i Paesi dell’Asean.

La Presidenza Juppiteriana, cui si ispira Macron, deve presentarsi in modo ben diverso da quella fondata sulla normalità dell’uomo al potere, assai ben incarnata dal predecessore Hollande di cui erano ampiamente note le debolezze caratteriali. Si richiamerebbe alla tradizione romana, secondo cui i condottieri si esaltavano a tal punto da trasfigurarsi nel loro dio supremo.

C’è bisogno di simboli: il fasto regale della Francia e le sue antiche relazioni con la Russia si rinvengono nell’accogliere il Presidente russo Vladimir Putin al Grand Trianon a Versailles, in occasione della mostra dedicata al tricentenario della visita dello zar Pietro il Grande. Il ruolo presidenziale di Comandante in capo dell’Armée, insieme agli antichi legami rivoluzionari con gli Stati Uniti d’America, sono enfatizzati nell’invito rivolto al Presidente Donald Trump ad assistere alla sfilata militare lungo gli Champs-Elysées, in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia: senza Trump, la parata sarebbe rimasta inosservata. C’è stato poi il conflitto con il Capo si Stato Maggiore dell’Armée, il generale Pierre de Villiers, che si era lamentato in una audizione parlamentare a porte chiuse della riduzione del budget: è stato brutalmente rimesso in riga, per sottolineare che la linea gerarchica fa capo al Presidente in persona. Le dimissioni del generale si sono tradotte in un atto di sottomissione collettivo al novello Napoleone.

Ci sono state, infine, due vicende che stanno pesantemente incrinando i rapporti con l’Italia: da una parte, la convocazione a Parigi del Presidente libico Serraj e del generale Haftar, suo antagonista a Tobruk, per farli impegnare ad un cessate il fuoco e ad indire nuove elezioni, lasciando all’Italia il ruolo ingrato di Paese cui spetta solo assorbire l’immigrazione di massa che proviene dalla sponde libiche e subirne i contraccolpi politici e sociali, oltre che economici; dall’altra, la decisione di stracciare gli accordi già intercorsi tra Fincantieri ed il precedente governo francese, che prevedevano la maggioranza azionaria e gestionale italiana dei cantieri navali di Saint-Nazaire, rilevati dal fallimento della holding coreana: si è deciso di esercitare il diritto di prelazione nazionalizzando l’azienda, per mantenere l’occupazione e proteggere i suoi asset strategici.

Lo scontro iniziale con Donald Trump sul clima, visto che al G7 di Taormina ed al G20 di Amburgo si era preso atto del ritiro della adesione americana all’Accordo di Parigi sul clima, è rimasta una bandiera solitaria nelle mani della Cancelliera Angela Merkel: con gli Usa, Macron lavora di sponda. In Iran, con cui i rapporti sono antichi, per bilanciare la posizione della Russia; in Libia, per evitare il bis del successo di quest’ultima in Siria, bypassando l’Italia che è rimasta inchiodata alla strategia della Amministrazione Obama. Questa puntava al solo sostegno di Serraj, mentre Egitto, Russia e Francia mettevano la mano sulla testa del generale Haftar, che presidia Tobruk. Ognuno, naturalmente, per i propri e convergenti interessi: l’Egitto vuole estendere la propria influenza in un Paese ricco di risorse petrolifere, come ai tempi della RAU; la Russia cerca di replicare la sortita in Siria e di smarcarsi dal ruolo di potenza solo regionale cui è stata ristretta negli anni; la Francia coltiva il vecchio progetto di dominare il Mediterraneo.

Uscire dal cono d’ombra mediatico è una cosa, ben più difficile è tirar fuori un Paese dal vicolo geopolitico in cui si trova. Basta tornare indietro di poco, agli esordi della Presidenza di Nicolas Sarkozy, per vedere come anche quest’ultimo aveva debuttato con iniziative di enorme impatto mediatico, politico e strategico: il suo primo viaggio all’estero fu in Algeria, per chiudere definitivamente le ferite della lunga avventura coloniale; immediatamente dopo, fu l’artefice della Unione Mediterranea, co-presieduta insieme al Premier egiziano Mubarak. Si sarebbe dato vita ad una nuova area di libero scambio economico e soprattutto di stabilità nelle relazioni politiche, spostando drasticamente verso sud l’asse di stabilizzazione e di crescita, così come era avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino a favore dei Paesi a nord-est. Il cambio di Presidenza americana, da Bush Jr. ad Obama, capovolse le prospettive: i regimi in carica andavano abbattuti con rivolte popolari e giovanili, esportando finalmente la democrazia. E così, nell’ambito della medesima strategia di proiezione mediterranea, Sarkozy si mosse d’intesa con il Premier inglese David Cameron per destabilizzare la Libia ed abbattere il regime del Colonnello Gheddafi.

Il leit-motif francese è sempre lo stesso: che si tratti di Sarkozy, poi di Hollande che sostenne in modo indiretto il generale Haftar che presidia le risorse petrolifere della Libia orientale tanto care ai francesi, ed infine ora di Macron che legittima sul piano internazionale il generale Haftar, competitor di Serraj. Nessuno si meravigli poi del fatto che ciascuno di questi due protagonisti, appena tornato in patria, smentisca quanto aveva affermato a Parigi oppure richiesto a Roma: mentre Haftar ha dichiarato che il suo interlocutore di Tripoli non ha alcuna rappresentanza politica, fonti di Tripoli smentiscono che Serraj abbia mai chiesto al governo di Roma un supporto navale per contrastare la tratta di migranti. Macron cerca di rimediare al pasticcio di Sarkozy, rischiando di farne uno peggiore, solo per accendere un faro mediatico sulla sua presidenza: della doppiezza degli arabi ha dimostrato di sapere ben poco. La coabitazione mediterranea e mediorientale franco-inglese continua, stringendo in una morsa l’Italia, che di recente ha visto incrinarsi i rapporti con l’Egitto, come già prima quelli con l’India, per dolorose ed esecrabili vicende personali.

Ci sono tendenze di lungo periodo: già Napoleone non intese mai il futuro dell’Italia come una nazione unita, ma come l’insieme di tanti Regni indipendenti dalle vecchie affiliazioni dinastiche, ciascuno da affidare ad un famiglio. L’Italia non era l’Inghilterra, acerrima antagonista globale; né la Russia con cui tentare inutilmente rapporti strategici; né l’Austria-Ungheria con cui concludere una pacificazione attraverso rapporti dinastici. Tanto bastava, e tanto basta anche ora: alla Francia servono le grandi aziende italiane, come la storia degli scorsi anni e la cronaca degli ultimi mesi dimostra.

Il riequilibrio dei rapporti di forza economica nei confronti della Germania non si fonda dunque su una serie di nessi funzionali, come quelli intessuti dalle grandi imprese manifatturiere tedesche nei confronti dei sub-fornitori, europei e non, che rappresentano una rete produttiva interdipendente. La Francia procede per acquisizioni di grandi aziende, che aggiunge come tanti gioielli alla sua corona produttiva, resistendo alle acquisizioni dall’estero come nel caso recente di Fincantieri ed in passato di Enel che aveva preso di mira EDF. Nei confronti delle ex colonie africane, come dei Paesi del Mediterraneo, tutto si gioca sul piano della dipendenza militare, politica e di conseguenza commerciale.

Il risultato di questi due approcci così differenti è palese: la Francia continua ad avere un disavanzo commerciale elevatissimo, non solo con la Germania ma anche con l’Italia che ha un tessuto produttivo composto prevalentemente da aziende medie e piccole. Il sistema produttivo francese non è integrato con altre economie a basso costo, se non nel caso emblematico della manifattura italiana nel campo della moda e dei prodotti di abbigliamento in pelle, dove le multinazionali francesi fanno i veri margini di guadagno.

La politica di bilancio non affascina il neo Presidente Macron: lascia al governo tutte le rogne, continue, sui tagli di bilancio e la riforma del mercato del lavoro. Il rientro nei parametri del Fiscal Compact, dopo un decennio di procedura di infrazione per deficit eccessivo, non è affar suo: “L’intendance suivra!”. Charles de Gaulle, lo sapete, non ammetteva repliche.

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