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Il Pd, Piero Martino e la democratica concorrenza fra Renzi e Franceschini

L’uscita dal Pd di Piero Martino segna una sorta di spartiacque nel partito guidato da Matteo Renzi. Questa volta, infatti, non se n’è andato un rappresentante della minoranza, un critico del segretario, un pericoloso ribelle, ma un deputato da sempre vicino a Dario Franceschini (è stato anche il suo portavoce) che mai aveva manifestato, almeno ufficialmente, critiche al renzismo. “Me ne vado perché nel Pd l’aria è diventata irrespirabile”, ha dichiarato all’Huffington Post, segno di un malcontento che covava da tempo. Piero Martino, dicevamo, non è un deputato qualunque, ma è la coniugazione del franceschinismo in politica, l’officiante dei desideri di Dario, il filo di connessione di tutto quel mondo della sinistra Dc che a Montecitorio annovera, tra gli altri, Francesco Garofani, Antonello Giacomelli, Gianclaudio Bressa, Francesca Puglisi, Marina Sereni, Luigi Zanda ed Ettore Rosato. E che ha in Sergio Mattarella il punto di riferimento.

Nella vita parlamentare di Martino mai uno scatto, un gesto di stizza, una parola fuori posto, flemmatico, un pochino freddo, ma comunque sempre disponibile a chiacchiere sussurrate sui divanetti di Montecitorio, magari nel corridoio fumatori, tra una boccata e l’altra di sigaro. Chi interpellava questo ex giornalista del Popolo e di Europa (non ha più versato il contributo al Pd da quando il partito ha scelto di lasciare morire Europa a vantaggio dell’Unità, operazione che non è servita a molto, come si è visto) lo faceva per sondare gli umori di Franceschini. Sicuri di trovare nelle sue parole anche i pensieri e le suggestioni di Dario. E infatti, ora che Martino è passato a Mdp, l’interrogativo a Montecitorio è se sia un segnale di Franceschini a Renzi, il semaforo verde del liberi tutti o la slavina che precede la valanga.

Fonti di Montecitorio giurano che non è così. “La sofferenza di Martino era nota da tempo. Certo, colpisce il doppio salto carpiato: invece di iscriversi alla minoranza del partito ha preferito andar via. E’ un segnale politico importante che Renzi non deve sottovalutare, ma non è un messaggio di Franceschini al segretario. Dai suoi fedelissimi non sono previste altre uscite”, racconta un parlamentare vicino al ministro dei Beni Culturali. “Martino è fidanzato con la cugina di terzo grado di Renzi che ha mollato il Pd per Mdp”, ha mormorato su Facebook il renziano Fabrizio Rondolino.

Detto questo, l’episodio conferma il malumore della corrente di Franceschini (Areadem) nei confronti del segretario. Di più: ormai, dopo l’intervista a Repubblica a pochi giorni dai ballottaggi in cui Franceschini è uscito allo scoperto attaccando frontalmente il segretario (“il Pd è nato per unire, non per dividere”), si parla di vera e propria contrapposizione. Un braccio di ferro che, nella pratica quotidiana, prende le forme di piccole scaramucce parlamentari, distinguo su questo o su quello, sfumature diverse.

I due, per esempio, da tempo non si parlano. L’ultima rottura è sulla legge elettorale, con Franceschini che valuta positivamente l’ipotesi di un premio di maggioranza che faciliti il formarsi di coalizioni, e Renzi invece schierato per il mantenimento dello status quo. Divisioni sempre più profonde, che fanno essere Renzi sospettoso verso i fedelissimi del ministro, in primis verso l’importantissimo capogruppo al Senato Luigi Zanda, che detiene il potere dell’agenda di Palazzo Madama. A placare gli animi ora arriva il generale agosto, ma da settembre il derby tra Franceschini e Renzi riprenderà, anche in vista della non facile compilazione delle liste elettorali, dove il segretario sembra orientato a lasciare ben pochi posti sicuri agli esponenti di Area dem. Piero Martino (che secondo i renziani se n’è andato perché era certo di non essere ricandidato) forse prenderà le redini della comunicazione di Mdp. “Non sono bello come Richetti, ma sono più bravo”, ha detto. Da settembre ne vedremo delle belle.

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