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Accordo Italia-Libia alla prova del mare

La forma è sostanza e perciò il governo italiano ha fatto bene a mettere i puntini sulle i: la nuova missione navale nelle acque territoriali in Libia non andrà a sostituirsi all’attività delle autorità di Tripoli, ma a rafforzarla. Saranno, dunque, i libici a fermare i barconi, arrestare i trafficanti, occuparsi dei poveri e sfruttati migranti, ma il tutto con l’appoggio “tecnico, logistico e operativo” -così Palazzo Chigi- della Marina italiana. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, allora, dopo il cavilloso tira e molla del primo ministro Fayez al-Sarraj (in foto), che prima ha smentito la richiesta da lui stesso fatta all’Italia, per poi confermarla? Sarà solo la prova del mare a dircelo, e già nei prossimi giorni. Ma il cambio di rotta è evidente. Per la prima volta avremo la concreta e condivisa supervisione dei flussi a ridosso dei porti di partenza, non più in mezzo al Mediterraneo, cioè a barcone ormai salpato e scappato, con troppe vite a rischio.

Non importa se, all’inizio, saranno soltanto un paio di navi italiane, anziché una flotta, a pattugliare. Così come poco incide se, per il momento, saranno solo elicotteri, droni o sommergibili, invece che aerei, a dare una mano dal cielo e dal mare. Quel che conta è il principio introdotto e dal quale non si torna più indietro: l’Italia potrà finalmente monitorare l’esodo in tempo reale e segnalare ai libici come, dove e quando intervenire. Aiutandoli, inoltre, a farlo. Naturalmente, il via libera all’operazione appena dato dal nostro governo, e che martedì sarà sottoposto alle commissioni competenti in Parlamento, non garantisce affatto il successo. Affinché la missione riduca al minimo gli sbarchi in Italia, ossia raggiunga il suo obiettivo, servono tempo, pianificazione sulla catena di comando e di coordinamento e il sostegno unitario della politica. Qui non è in ballo una sfida personale del premier, Paolo Gentiloni, che pure ci ha messo la faccia.

È invece in gioco l’interesse nazionale, che non si persegue solo coi gesti, come dimostra il flop diplomatico di Emmanuel Macron: Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha già dato del fanfarone e dell’uomo “senza alcuna autorità a Tripoli” a Sarraj, al quale aveva stretto la mano due giorni prima all’ombra del gongolante presidente francese. Sulla Libia ci vogliono pazienza e conoscenza, non basta il piglio. Il piccolo, ma incisivo passo di Roma, se paragonato all’impotente esibizionismo di Parigi, è la strada giusta. Ma ora bisogna navigare fino in fondo, con decisione e perseveranza.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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