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Perché ai migranti non serve il falso buonismo

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Se nel giro di pochi mesi è molto cambiata l’opinione degli italiani sul tema dell’immigrazione, le responsabilità non sono degli italiani. In tutto questo tempo, nessun altro popolo d’Europa ha mostrato tanta comprensione per i disperati che fuggono sui barconi. Nessun’altra Marina militare s’è impegnata, come la nostra, per individuarli in mare e per salvarli. Nessun’altra istituzione dell’intera Unione europea, anche la più ricca e potente, può essere assimilata al più piccolo e dimenticato Comune d’Italia, che pur fra mille difficoltà s’è fatto in quattro per dare un tetto, un posto e, quando possibile, un lavoro agli stranieri senza denaro e senza patria.

Invece Bruxelles ha speso solo parole al vento per assicurare l’equa distribuzione dei migranti fra i ventisette Paesi. Invece l’Austria e la Francia, la Spagna e l’Ungheria – per restare ai “primi della classe” – hanno pensato unicamente a come innalzare muri, vietare porti e chiudere le porte a chiunque bussasse dall’Africa. Invece le Ong che con le loro navi prestano un pronto soccorso nel Mediterraneo, con modalità e procedure su cui si sono aperte inchieste giudiziarie, ora si sono divise su una questione irrinunciabile: se accettare oppure no il codice di comportamento del governo italiano, cioè dall’unico governo in Europa che sta affrontando l’esodo. Non per caso il presidente della Repubblica, Mattarella, ha espresso apprezzamento per il codice e per il ministro dell’Interno, Minniti, che ne è l’artefice. E che, raccontano le cronache, ha puntato i piedi, a costo di dimettersi.

Eppure, la polemica politica divampa sull’onda del puro pregiudizio ideologico. A sinistra si tende a sostenere l’attività dell’Ong “a prescindere”: il buonismo a volontà. A destra con lo stesso, ma opposto preconcetto, la si contesta: il cieco catastrofismo. Sulle Ong dovrebbe semplicemente valere il giudizio su quello che fanno, e su come lo fanno. Adesso anche il dovuto rispetto a quel che Roma ha stabilito, se con l’Italia si vuole ancora collaborare.

Intanto, dal largo della Libia forse arrivano i primi effetti dell’intesa con Tripoli: una maggiore sorveglianza per colpire il crimine degli scafisti e impedire le partenze incontrollate. L’Italia ha già fatto la sua parte. Se con buon diritto ora pretende la fine dell’anarchia in mare e sulle proprie coste, gli altri – dalle presenti Ong ai latitanti Paesi europei – hanno il dovere di rispettare le nostre nuove regole.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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