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Cosa c’è davvero di nuovo fra Trump e la Corea del Nord

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Le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump sulla Corea del Nord sono state negli ultimi giorni un’escalation di aggressività, a cui Pyongyang – un regime che si regge molto sulla propaganda e sulla retorica – ha risposto con altrettanta durezza.

TRUMP TUONA, MENTRE GLI ALTRI SONO SERENI

Però vari segnali provenienti dalla sponda americana (l’unica accessibile) sembrano dire che una catastrofica guerra nucleare è tutt’altro che imminente. Il capo del Pentagono James Mattis, per esempio, ha continuato il suo planning da tempo deciso con un viaggio nella West Coast statunitense mentre Trump tuonava di missili e opzioni militari – e i viaggi di routine non sono il tipo di cose che fa il ministro della Difesa alla vigilia di un attacco atomico. Parlando dalla California Mattis ha liquidato la situazione come business-as-usual, ossia niente di nuovo, sostenendo che il Pentagono ha sì la forza per distruggere il Nord (è vero, ovviamente, quanto è ovvio che si tratta di un accesso retorico), ma sottolineando che i militari americani stanno lavorando per “soluzioni diplomatiche”. Linea identica dal dipartimento di Stato, la diplomazia vera e propria, con il segretario Rex Tillerson che invita gli americani a dormire “sonni tranquilli”.

I SOLDATI SONO FERMI

Il motto della Seconda Divisione Fanteria americana che è di stanza in Corea del Sud dice “ready to fight tonight“: però mentre le fanteria è pronta alla guerra già “stasera”, David Lauter sul Los Angeles Times fa notare che le United States Forces Korea non hanno avuto nessun rinforzo ultimamente e ai civili dipendenti delle basi sudcoreane non è stato chiesto il rientro in patria. Entrambe sono cose che se la guerra fosse imminente sarebbero routine, attività da tenere d’occhio in futuro dunque.

LE NAVI AI PORTI

La grande portaerei “USS Ronald Reagan” è tornata al porto di competenza di Yokosuka (in Giappone, dove fanno base molte delle navi della Settima Flotta, quella del Pacifico), dopo essere stata inviata a solcare i mari davanti alla penisola coreana come mossa di deterrenza su Pyongyang. Un’altra portaerei, la “USS Carl Vinson”, il simbolo della “big armada” che Trump aveva inviato contro Kim Jong-un, ora è a San Diego, in California. Insomma, scrive Lauter, tutto è normale e per un’altra volta “Trump ha fatto dichiarazioni che il resto dell’amministrazione e del Congresso hanno spesso ignorato o messo da parte” (vedere Mattis e Tillerson in questo caso). O almeno, i segnali più espliciti al momento dicono questo.

GLI AEREI A TERRA

Come per le navi, un aumento rapido del potenziale aereo potrebbe essere il segnale di un’azione militare imminente. Trump venerdì ha ritwittato un post del Pacific Command che portava proprio l’hashtag della Seconda divisione in Sud Corea, #FightTonight, a proposito dei B-1B Lancer, i bombardieri strategici che si trovano alla base Andersen sull’isola di Guam. Sono i mezzi con cui gli Stati Uniti potrebbero scatenare una pioggia di fuoco (anche atomico) sul Nord, ma attualmente anche le loro attività non stanno segnando incrementi – se non fosse per gli show of force dei voli al limite dei cieli nordcoreani, attività ormai classiche da anni. Il 7 agosto sono arrivati a Guam due Lancer dal South Dakota e hanno compiuto esercitazioni con i giapponesi: tutto nell’ambito del mantenimento di una presenza di bombardieri americani nell’area Indo-Asia-Pacific, come la chiamano gli americani, deciso nel 2004.

COSA SEGUIRE

Il generale dell’Esercito in pensione Robert Scales ha detto alla Bloomberg che ci sono segnali da seguire, aspetti che sono certamente propedeutici a un attacco secondo la dottrina militare classica, ma finché non si vedono ceri tipi di attività (la smobilitazione dei civili, i rinforzi, i movimenti delle navi e l’invio consistente di altri aerei), “tutto è solo chiacchiere”.

 

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