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Tim, la rete in rame e i debiti. Tutti i veri perché della diatriba sulla fibra ottica

Vincent Bolloré Tim

Giusto vent’anni fa, nel 1997, la Stet fermò il Piano Socrate, un progetto di cablatura in fibra ottica delle principali città, che avrebbe portato nelle case la televisione via cavo. Era una architettura di tipo distributivo, pensata più per il download dei video che per l’upload di contenuti, ma aveva il pregio di essere in parte parallela rispetto alla rete telefonica in rame, soprattutto nella rete di accesso.

La interferenza tra i due modelli, quello televisivo e quello delle telecomunicazioni, fu evidente: mentre la distribuzione finale del segnale video avveniva mediante la nuova infrastruttura in fibra ottica, il trasporto avveniva utilizzando la esistente infrastruttura di telecomunicazioni. In pratica, si innovava prevalentemente l’ultimo tratto, quello della rete di accesso che si sdoppiava: da una parte rimaneva il rame per la telefonia, dall’altra si installava la fibra ottica per distribuire i contenuti televisivi.

Per far decollare economicamente il servizio, sarebbe stato necessario azzerare i costi di trasporto del segnale televisivo sulla rete telefonica: ma questo avrebbe comportato un vantaggio competitivo enorme per l’allora monopolista telefonico. Sarebbe entrato in un mercato nuovo, quello della televisione via cavo a pagamento, costruendosi una rete di accesso dedicata, ma usando a condizioni di favore le risorse finanziarie accumulate e la infrastruttura di telecomunicazioni realizzata in regime di monopolio. Il risultato sarebbe stato quello di creare un nuovo monopolio usando in via esclusiva e di vantaggio le risorse del precedente monopolio. Socrate infatti era una infrastruttura proprietaria, chiusa, non accessibile ad un eventuale concorrente, visto che i contenuti video sarebbero stati forniti al cliente finale da Stream, un’altra società della Stet appositamente costituita.

La filosofia che inizialmente ispirò la normativa europea nel settore delle telecomunicazioni si fondava sul principio della Open Network Provision: la rete fissa di telecomunicazioni degli allora monopolisti doveva essere accessibile alla concorrenza, cosicché i servizi potessero essere forniti in condizioni di parità. Se fosse stata applicata anche alla rete Socrate, sarebbe stato un assetto coerente ed organico. Ma la Stet cercava di costituire un nuovo monopolio, altro che realizzare una nuova struttura da aprire alla concorrenza.

Fu così che, approfittando dell’enorme successo della telefonia mobile che utilizza il collegamento radio come rete di accesso al cliente finale, si riuscì a superare il collo di bottiglia rappresentato dal monopolio della rete fissa in rame. Si sviluppò, in questo caso, un assetto della competizione basata sulle infrastrutture proprietarie: ogni gestore di telefonia mobile doveva avere le sue stazioni radio-base, con una autonoma copertura.

Nel settore della telefonia fissa si aprì alla concorrenza mediante una disciplina analitica dell’accesso disaggregato alla rete ex monopolista, ridenominato incumbent: non potendoci essere, per ragioni di costo, una moltiplicazione delle infrastrutture come nel settore del mobile, si poteva accedere alla unica rete di accesso esistente, ed agli altri segmenti, a condizioni non discriminatorie, trasparenti ed orientate ai costi.

Internet, nel frattempo, ha cambiato completamente il volto delle telecomunicazioni: la comunicazione telefonica è stata soppiantata dalla trasmissione dati digitale su IP, soprattutto peer-to-peer. Un assetto in cui ciascun utente immette nella rete contenuti molto pesanti in termini di bit, come i video.

Qui nasce il problema cruciale della regolamentazione delle condizioni di accesso alla rete: se si considerano solo i costi storici e la tecnologia come una invariante, in pratica la rete storica in rame per la semplice telefonia vocale, un po’ alla volta la rete deperisce, in quanto non è più tecnologicamente all’avanguardia. Non basta sostituire il rame con altro rame, ma servono la fibra ottica e tutte le soluzioni volte a consentire lo sviluppo di internet. Non basta il rimpiazzo degli investimenti storici, ma serve mantenere la rete ai sempre migliori livelli tecnologici.

Nessuno si è fatto carico, strategicamente, di questo problema. Ai nuovi entranti conveniva una contabilità regolatoria basata sull’ammortamento dei costi storici dell’infrastruttura, perché così pagavano di meno per il suo utilizzo. Anche ai privati che acquisirono l’ex monopolista telefonico conveniva un ammortamento della rete a costi storici, perché era molto più basso di quello che sarebbe stato necessario per mantenere la infrastruttura ai migliori livelli tecnologici: ammortamenti bassi consentono di aumentare i dividendi.

E’ andata avanti così per vent’anni, sfruttando il più possibile la rete originale in rame, di cui oggi rimane praticamente inalterato solo l’ultimo tratto che va dalla centrale o dall’armadietto di strada fino alla casa dell’utente. Questo è ormai un collo di bottiglia se si vuole la banda ultra-larga, quella che consente di avere a casa la interattività televisiva di alta qualità, con la possibilità del video-on-demand sulla lunga coda. Serve portare la fibra a casa dell’utente, o almeno all’armadietto di strada: la prima soluzione (FTTH) è quella che sta realizzando Open Fiber, la società di Enel e Cassa depositi e prestiti che ha vinto le gare bandite da INFRATEL per gli stanziamenti che il governo ha messo a disposizione per le aree a fallimento di mercato; la seconda architettura (FTTC) è quella che sta realizzando TIM, che consente di sfruttare ancora un pezzo della sua rete in rame. Ma mentre la prima soluzione (FTTH) è completamente autonoma nell’accesso all’utente finale rispetto alla rete di TIM, la seconda soluzione (FTTC) vincola la concorrenza ad usarne comunque l’ultimo tratto in rame.

La nuova rete a banda ultra larga finanziata dal governo italiano nelle aree a fallimento di mercato, mediante i bandi di gara gestiti da INFRATEL, creerà una infrastruttura pubblica in fibra ottica che arriverà a casa degli utenti e che sarà accessibile da parte di tutti i concorrenti alle medesime condizioni: eque, trasparenti, non discriminatorie, orientate ai costi.

La storica rete fissa di telecomunicazioni è stata enormemente migliorata tecnologicamente nel corso degli anni, ma sostanzialmente svuotata dal punto di vista finanziario. Dopo vent’anni, siamo tornati al punto di partenza: ciò che la Stet non accettò allora, viene realizzato oggi con nuove risorse pubbliche, dei cittadini. Per questo deve intervenire nuovamente lo Stato: la Nuova Rete ed il forziere svuotato.

(Articolo tratto dal sito Teleborsa)

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