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Non politicizzare il terrorismo, ma non ditelo a Trump

Venerdì Pierpaolo Burattini, ex capo cronista politico del fu Giornale dell’Umbria, ha citato su Facebook una riflessione essenziale quanto giusto del corrispondente da Washington del Corriere della Sera Guido Olimpio che dice: “Fare politica sulle stragi è da ignoranti. Il terrore colpisce sia che comandi la destra che la sinistra”. “#Nota”, segna Burattini — sensibilità accorta alle dinamiche che muovono la nostra società. Quasi banale dirlo, ma non di questi tempi evidentemente. Nel frattempo infatti sulla sua pagina Olimpio combatteva con il solito stuolo di esperti leoni da tastiera che analizzava l’attentato di Barcellona con davanti il chinotto ghiacciato del bar della spiaggia, incolpando le intelligence di non fare abbastanza senza minima cognizione di causa; accennando alla troppa libertà lasciata agli immigrati (e c’è stata perfino la polemica perichè i media che non hanno pubblicato le foto dei bambini colpiti dal van bianco sulla Rambla e invece quella di Aylan Kurdi, morto annegato migrante, è diventata un simbolo); teorizzando che dietro all’incolumità italiana possa esserci un accordo tra servizi segreti e chissà quale ufficio del terrorismo internazionale secondo cui il territorio italiano, essendo area di transito, sarebbe lasciato incolume dagli attacchi in cambio del lassismo dei servizi (ovviamente non è così, e la serie di arresti di potenziali attentatori jihadisti in Italia ne è testimonianza: vale la pena sempre ricordarlo come ha fatto efficacemente Daniele Raineri, esperto di IS del Foglio). Tra i migliori del team di espertoni, Nicolai Lilin, analista delle cospirazioni, che scrive un tweet sgrammaticato sugli attentati in Spagna per arrivare ad attaccare la presidente della Camera Laura Boldrini (è un topoi del momento, perché è considerata aperta sull’immigrazione e dunque corresponsabile di quella che amano chiamare la sottomissione dell’Occidente), per poi cancellarlo, forse perché Boldrini, che ha iniziato una guerra legale contro i beceri che la insultano in rete, se la sarebbe potuta prendere di essere definita amica dei terroristi islamici; forse per via dell’errore grammaticale per cui se l’è presa con “gli intellettuali”, dice lui che ha pubblicato con Enaudi, che lo hanno corretto.

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In mezzo a questo genere di politicizzazione inutile dell’accaduto (“inutile” perché ovviamente è tutto più complesso del tifo da stadio) che non c’è stata solo in Italia (grazie a Dio), s’è infilato Donald Trump con un tweet molto politicizzato che dà un altro spaccato del suo modo di pensare. Scrive Trump: “Studiate cosa ha fatto il generale americano Pershing ai terroristi che aveva catturato. Non ci fu terrorismo per 35 anni”.

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La storia evocata da Trump del generale John Black Jack Pershing è più una bufala che una leggenda: in termini tecnici l’ha spiegata Andrea Marinelli sul Corriere della Sera. E non è la prima volta che Trump tira fuori la vicenda: già fatto in campagna elettorale, e già smentito. La leggenda vuole che il valoroso (davvero valoroso) generale americano, inviato in missione nelle Filippine durante la guerra Filippino-Americana (1899-1902), avesse problemi nell’amministrare una provincia a maggioranza musulmana a causa di gruppi estremisti. Allora catturò 50 miliziani, e li giustiziò con proiettili intinti nel sangue di maiale (uno sfregio, morire sporcati col sangue di un animale impuro per il Corano). Solo che questa storia romantica è già stata smentita dagli storici, che la collegarono, spiega Marinelli, a una specie di Catena di Sant’Antonio messa in giro dopo il 9/11.

Però ci sono alcuni aspetti da sottolineare dietro al tweet di Trump. Per esempio, l’idea di ricordare una leggenda su un generale storico americano che combatteva senza mezzi termini il terrorismo, che si ricollega alla postura dura che Trump vuol far passare all’esterno a proposito della sua amministrazione. Ma anche il richiamo alla storia degli Stati Uniti, che in questo momento si connette con la questione delle statue sudiste da rimuovere, diventata simbolo per le proteste dei movimenti suprematisti bianchi (quelli a cui si collega l’attentato di Charlottesville), con Trump ha preso posizioni contro le rimozioni di quell’iconografia un molto stati considerata invece divisiva. O ancora: è molto probabile che nel breve tempo gli americani inizino a bombardare lo Stato islamico nelle Filippine, dove ha ancora il controllo di un’area intorno a Murawi. Una decisione uscita sui media una decina di giorni fa, portandosi dietro le solite polemiche di chi considera queste operazioni una violazione della sovranità altrui, col rischio di vittime civili e di aiutare un presidente dispotico, ma soprattutto finita oggetto delle critiche degli anti-globalisti alla Steve Bannon, quelli che vorrebbero gli Stati Uniti meno impegnati negli affari non strettamente collegati all’interesse nazionale (o nazionalista) e che sono lo zoccolo duro del debole approval trumpiano.

Sfaccettature, speculazioni da cui leggere la politicizzazione che Trump ha voluto dare agli attentati in Spagna. Parti di uno storytelling di una presidenza davvero in difficoltà.

 

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