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Ecco la pacchia che Merkel invoca per le banche in Germania

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L’Eba ha aggiornato la lista delle cosiddette «public sector entities» (o Pse) che possono essere considerate allo stesso livello di rischio degli Stati per il calcolo dei requisiti di capitale. Scorrendo l’elenco delle Pse saltano all’occhio due elementi. Innanzitutto l’ampia presenza di istituzioni di questo tipo in Germania, Francia e Spagna, mentre nella lista non è presente alcuna entità italiana. In secondo luogo, con riferimento in particolare alla Germania, c’è un elevato numero di banche di sviluppo regionali (promotional bank), sulle quali è basato il finanziamento delle infrastrutture e dei progetti territoriali. Il peso di questi istituti, avvantaggiati dalle regole prudenziali per la loro natura pubblica, è assai rilevante per l’intera economia tedesca. I vantaggi patrimoniali non sono però sufficienti alla politica tedesca: a livello europeo Berlino sta lavorando per togliere del tutto le promotional bank dalla normativa bancaria Ue (si veda sul tema MF-Milano Finanza del 17 maggio).

Il sistema tedesco si basa su una grande banca di sviluppo nazionale, la Kfw, esentata dalle regole bancarie come la Cdp italiana e la Caisse de Depots francese. Il modello della Germania va però al di là di quello degli altri Paesi europei. Accanto alla Kfw esistono altre banche di sviluppo a livello di Land: proprio le promotional bank che godono dei vantaggi patrimoniali concessi dall’Eba (ormai da anni) e che presto potrebbero essere escluse da ogni tipo di regole europee per sottostare soltanto a quelle delle autorità tedesche. Le controparti che hanno esposizioni verso le Pse possono considerarle già ora a rischio molto basso, identico a quello del Land di riferimento. Ciò implica che il costo di finanziamento delle banche di sviluppo tedesche sui mercati è irrisorio, considerando i tassi bassissimi che possono chiedere gli organi pubblici in Germania, grazie alle solide finanze pubbliche e alla politica monetaria della Bce.
Se si considera poi nel complesso il peso delle istituzioni pubbliche sul settore tedesco (ci sono anche per le landesbank e le sparkasse), si può concludere che ci sia un gigantesco e permanente aiuto di Stato all’economia nazionale, su cui la direzione Concorrenza della Commissione Ue non ha mai eccepito nulla, con la giustificazione che si tratta di situazioni cristallizzate nel tempo. Altrettanto si può dire però del vantaggio competitivo del sistema economico tedesco: non solo per le banche, ma di riflesso anche per imprese e famiglie che godono di tassi più bassi di quelli che avrebbero ottenuto in un mercato non influenzato dalla presenza pubblica.

Non è detto infatti che il rischio delle banche tedesche debba essere per forza basso, pari addirittura a quello del proprio Land o dello Stato. Sono frequenti i casi di istituti (come la landesbank Hsh Nordbank) che, nonostante l’azionariato pubblico, hanno investito in modo azzardato, con pesanti conseguenze per i bilanci. Del resto l’intero settore sarebbe collassato senza 250 miliardi di euro di aiuti pubblici. Tuttora l’Ue concede agli istituti a controllo statale un canale privilegiato per ottenere nuovi aiuti di Stato. Su 21 banche tedesche vigilate dalla Bce, oggi sono 9 quelle a controllo statale.

Tra gli analisti permangono però dubbi sulla solidità del comparto tedesco, nonostante le iniezioni di capitale della cancelliera Angela Merkel prima della stretta delle regole dell’estate 2013. La Germania si è mostrata spesso insofferente ai controlli europei sulle banche nazionali. In questi giorni i negoziatori tedeschi a Bruxelles stanno lavorando per cambiare l’articolo 2 della direttiva Ue sui requisiti di capitale (Crd), che consente eccezioni individuali all’applicazione delle normative soltanto per i grandi enti di sviluppo nazionali. In queste settimane è però in corso la revisione della direttiva. La Germania vorrebbe estendere la deroga anche alle banche di sviluppo regionali, che in alcuni casi hanno attivi rilevanti, fino a 70 miliardi.

Proprio su questo tema si è espresso nei giorni scorsi anche Carmelo Barbagallo, capo della Vigilanza di Banca d’Italia: «Non è da valutare favorevolmente l’eccessivo ampliamento del numero di istituzioni esentate dal rispetto della normativa bancaria Ue, che rischia di alterare le regole di competizione tra giurisdizioni. Sono diverse le delegazioni che nel corso del negoziato si sono espresse in tal senso; il Consiglio ha tenuto conto di tali posizioni». Nel frattempo la banca di sviluppo Landeskreditbank Baden-Württemberg Förderbank ha già chiesto ufficialmente di uscire dalla Vigilanza diretta della Bce: il tentativo è stato però respinto dalla Corte di Giustizia Ue. La Germania chiede alla Vigilanza Bce regole severe, ma poi fa il possibile per esentare i gruppi nazionali dai controlli europei.

(Articolo pubblicato su MF/MilanoFinanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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