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Per una moneta fiscale europea

Yanis Varoufakis è un economista ed è persona intelligente (combinazione non comune). Sa che l’eurozona, se continua a navigare a vista, in balia solo di un sistema di vincoli sulla gestione della politica economica e nessuna spinta collettiva per la ripresa (sia sul lato della domanda sia dell’offerta), è destinata a spaccarsi. Una volta per tutte. Dilaniata da divergenze che diverranno sempre più insanabili.

La sua recente proposta, non certo nuova, di adottare in alcuni paesi una moneta fiscale va nella direzione di dare uno slancio a sistemi economici asfittici, rilanciando una domanda ancora in caduta libera (almeno in Italia, tanto per fare un esempio, ma certo anche in Grecia o, come suggerisce lui stesso, in Francia). Il governo dovrebbe erogare a ciascun italiano un buono (scambiabile sul mercato), che tra un anno o due può essere utilizzato per il pagamento delle imposte. Naturalmente la speranza non è di arrivare a scadenza lasciando che il buono rimanga inutilizzato, ma metterlo in circolazione.

Se entra in circolazione, infatti, genera reddito e (tramite il meccanismo del moltiplicatore) accresce il volume delle transazioni e dei redditi sui quali calcolare le imposte, di fatto contribuendo a generare gettito fiscale aggiuntivo e diminuendo alla fine lo stock di debito.

Si possono muovere varie obiezioni alla proposta di Varoufakis. La prima è banale: siamo sicuri che le aspettative siano favorevoli all’ingresso nella circolazione dei buoni fiscali? Il rischio potrebbe essere il tesoreggiamento (non mi fido… e li tengo sotto il materasso fino a quando posso utilizzarli per pagare le imposte), con effetto moltiplicatore nullo.

La seconda è che nel caso in cui si intenda (e si riesca) davvero ad immetterlo sul mercato, il suo valore di scambio potrebbe essere scontato (visto che è un valore futuro, il cui grado i rischio è apparentemente basso, essendo garantito dallo Stato… ma da uno Stato sempre più indebitato! Mi fido? O meglio, quanto vuol essere pagato chi lo acquista per fidarsi?).

Ma soprattutto, è vero che la moneta fiscale non è (ancora) moneta, e lo diventa solo nel momento in cui viene cambiata con pagamenti futuri in euro; ma questo significa che di fatto vengono immessi mezzi di pagamento in sostituzione di futuri pagamenti in euro e quindi andrebbero contabilizzati come debito futuro (certo, poi viene riassorbito… ma nel frattempo è debito!). Ovviamente questo è un vantaggio: se si convincono i governi europei (Germania inclusa) ad accettare un sistema contabile parallelo a quello ufficiale che venga trattato in modo diverso dai conti ufficiali, tutto bene… ma dubito che ci verrebbe concesso di non contabilizzarlo per quello che in effetti è: ossia un debito, anche se sospeso.

In ogni caso non mi interessa qui criticare Varoufakis. Anzi: l’idea è piuttosto di rilanciare la sua proposta (che piace e piacerà molto a tutti, soprattutto politici, che possono spenderla a fini elettorali per aumentare la spesa senza dover ricorrere a proclami pericolosi tipo “uscire dall’euro”; e magari il sistema bancario, che potrebbe intravedere grossi guadagni nell’intermediazione) ma su scala “europea”.

Perché non chiediamo che sia la Commissione ad emettere, in quanto governo della UE, una moneta fiscale, per creare un fondo virtuale (da realizzare subito e che inizi subito a spendere, ma al quale contribuiranno in futuro i cittadini dei paesi europei con imposte dirette da pagare con la moneta creata) per sostenere investimenti collettivi?

La commissione potrebbe cioè erogare un bonus di, poniamo, 10.000€ in moneta fiscale ai singoli cittadini europei, magari su base universale come propone Varoufakis, che possano essere utilizzati per pagare le future imposte dirette (diciamo 1.000€ l’anno per dieci anni) ai singoli Stati-nazionali, con cui finanziare un fondo a sostegno degli investimenti europei per la crescita (chiamiamolo Fondo dei Cittadini per la Crescita, FCC).

Dunque, ricapitolando: il FCC viene creato domani, con a capitale 10.000€ x il numero dei cittadini europei (c.a 430 milioni, ossia 4.300 miliardi di euro). Questo capitale non viene versato immediatamente ma ad un flusso di 1.000€ l’anno da ciascun cittadino europeo che invece di pagare ogni anno 1.000€ di tasse restituisce il bonus al proprio paese (che deve trasferire la corrispondente somma a Bruxelles per finanziare il FCC). Con questo capitale (430 miliardi l’anno da versare da parte degli Stati membri, sulla base del numero dei cittadini), si avvia un vasto programma pluriennale di investimenti collettivi europei (infrastrutture di comunicazione e trasporto, ricerca e innovazione tecnologica, energie alternative, etc). Ovviamente i pagamenti ai committenti vengono fatti ex-post, sulla base di un bilancio opportunamente verificato da un’agenzia autonoma, via via che i buoni vengono raccolti e riassorbiti dai sistemi fiscali nazionali e trasferiti alla UE.

I miliardi non incassati dagli Stati nazionali (una sessantina l’anno, nel caso italiano) ovviamente implicano la necessità di coprire quelle somme, che potrebbero provenire da mancati investimenti nazionali o risparmi di altra natura (lasciando che siano i singoli paesi a scegliere democraticamente cosa intendono fare), oppure da una rinegoziazione complessiva dei contributi nazionali alla UE.

In tal modo saremmo (ragionevolmente) sicuri che i fondi emessi (e poi raccolti) non saranno usati per scopi meramente elettorali in logiche di tipo corporativo  (come invece temiamo fortemente), ma per sostenere la produzione di beni pubblici europei (scelti con una procedura di codecisione accelerata ad-hoc da Parlamento e Consiglio europei entro un limite massimo di 6 mesi); che si potranno sfruttare le economie di scala limitate altrimenti da mercati e dimensioni nazionali; che si potrà rendere più trasparente e diretto il rapporto fra le contribuzioni dei cittadini e quello che l’Unione Europea eroga in cambio; che la battaglia politica si sposterà necessariamente sul livello europeo, per le scelte sulla destinazione delle risorse del FFC; che si avvierebbe un ripensamento generale delle competenze in capo agli Stati e all’Unione Europea; che si creerebbero enormi pressioni per una riforma che consenta una maggiore legittimità democratica delle istituzioni e dei meccanismi decisionali europei.

Questa è una battaglia che avrebbe senso… anche se molto più difficile da portare avanti. Pensaci, Varoufakis… pensaci… W la moneta fiscale europea!

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