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Che cosa farà Google per adeguarsi all’Antitrust di Bruxelles

Di Natalia Drozdiak e Sam Schechner

Google ha presentato all’Antitrust dell’Ue il programma con il quale intende aderire al recente invito dell’Authority a smettere di privilegiare il proprio servizio di shopping comparativo. È di giugno la notizia della multa record da 2,42 miliardi di euro comminata dalla Commissione europea per pratiche discriminatorie nei confronti dei comparatori di prezzo alternativi che appaiono nei risultati selezionati dal motore di ricerca. L’Ue da quasi sette anni indaga sul colosso del web per violazione delle direttive comunitarie in materia di antitrust e nel contesto di diversi settori.

Nell’ambito del verdetto, l’Ue ha inoltre imposto la revisione entro la fine di settembre delle voci proposte da Shopping, in modo che l’azienda tratti allo stesso modo il proprio servizio e quelli rivali. Le modifiche dovrebbero toccare gli utenti di tutti i Paesi europei in cui Google offre il servizio. Peraltro, la notifica alla Ue su come Big G intenda agire doveva avvenire entro martedì 29. «La Commissione può confermare che, come richiesto, ha ricevuto informazioni da Google su come intende garantire il rispetto della decisione entro il termine fissato», ha dichiarato una portavoce dell’Ue, che ha scelto di non fornire maggiori dettagli sulla proposta.

Bruxelles ha lasciato libertà sulle specifiche delle modifiche e non sarà necessaria un’approvazione dei relativi progetti. Ma se i rimedi risultassero insufficienti, l’Unione europea potrebbe emettere ulteriori sanzioni fino al 5% del fatturato giornaliero medio per ogni giornata in cui è rilevata la mancata conformità. Le proposte di martedì non sono il primo tentativo di rispondere alle perplessità di Bruxelles per quanto riguarda la visualizzazione dei prodotti rivali. Dall’apertura del fascicolo nel 2010, la società fondata da Larry Page e Sergey Brin ha presentato almeno tre proposte di patteggiamento, solo per vederli andare in pezzi in quanto il braccio esecutivo dell’Unione li ha ritenuti insufficienti, sotto le pressioni politiche di Germania e Francia.

Con l’offerta finale vincolante del febbraio 2014, che l’Ue ha reso pubblica, sarebbero cambiate le pagine dei risultati che mostrano gli annunci di Google Shopping per includere anche le voci dei competitor. In base agli screenshot pubblicati dall’Ue all’epoca, sarebbero apparse in una casella ombreggiata accanto alle proposte del colosso. In seguito la controversia si è estesa al campo delle ricerche geolocalizzate, che presenta esercizi commerciali vicini al luogo di consultazione come i ristoranti, e il settore dei viaggi con la commercializzazione di voli e alberghi.

Tuttavia, nessuna delle due categorie pare coinvolta dalle proposte di martedì. L’Ue continua a tenere sotto osservazione il motore di ricerca più usato al mondo, nonché il sistema operativo mobile Android e la piattaforma pubblicitaria AdSense. Dietro le quinte, esponenti dell’editoria tedesca, ma anche imprese americane tra cui Yelp, avevano esercitato una forte campagna di lobbying per far saltare l’accordo, affermando che il posizionamento che avrebbero guadagnato – alla destra dei risultati di Google – non fosse abbastanza evidente. E lamentavano che avrebbero dovuto negoziare lo spazio tramite un meccanismo d’asta, che avrebbe sostanzialmente consentito ad Alphabet (la holding di Google) di trarre profitto dallo stesso patteggiamento. La concorrenza potrebbe nuovamente sporgere reclamo presso l’Ue nel caso in cui trovasse insufficienti le soluzioni per il caso Shopping. Se la Commissione dovesse considerare fondato quanto riportato potrebbe penalizzare per la mancata ottemperanza Google, che è tenuto a rispettare l’ordinanza indipendentemente dalla possibilità di impugnare la decisione in appello, oltre al quale Mountain View potrebbe avanzare un’istanza d’ingiunzione o ricorrere ai cosiddetti provvedimenti provvisori, per sospendere l’imposizione della modifica alla prassi, in attesa dell’esito dell’appello. Secondo gli esperti legali, però, non sarà così semplice poiché dovrebbe dimostrare a un giudice che l’esecuzione causerebbe alla società «danni gravi e irreparabili».

Per Nicolas Petit, docente specializzato in antitrust dell’Università di Liegi, i precedenti tentativi di trovare un’intesa potrebbero rafforzare la posizione della società in tribunale se decidesse di fare appello. «Le discussioni per giungere a una transazione non sono appropriate per i casi che potrebbero concludersi con sanzioni», ha aggiunto Petit, offrendo quindi a Google una possibilità di cavarsela senza pagare multe.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

(Traduzione di Giorgia Crespi da The Wall Street Journal)

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