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Ecco di cosa discutono Shinzo Abe e Theresa May in Giappone

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Si apre sotto i peggiori auspici il viaggio della premier britannica Theresa May in Giappone. Con i missili nordcoreani che sibilano sulle teste dei giapponesi e le sirene che svegliano gli abitanti dell’isola di Hokkaido. Comprensibile che per il premier Shinzō Abe porre le basi per un accordo commerciale post-Brexit con il Regno Unito non sia una priorità in questo momento. Lo è invece per il governo May, che a poco più da un anno dallo strappo con Bruxelles si ritrova escluso dall’accordo di libero scambio con Tokyo e costretto a fronteggiare l’esodo della finanza dalla City of London e un conto salatissimo che gli europei non hanno intenzione di addolcire.

Atterrata mercoledì per una tre giorni fra Tokyo e l’ex città imperiale Kyoto, la May si è portata al suo seguito il segretario per il commercio internazionale Liam Fox e una delegazione di 15 fra i più grandi CEO di imprese anglosassoni, fra cui figurano Barclays, la Scoth Whisky Association e la Aston Martin.

E proprio la casa produttrice dell’auto di James Bond ha riportato un primo successo per la May. Un accordo da 500 milioni di sterline con il Giappone: 400 milioni in esportazioni, 70 milioni spesi in componenti di fattura nipponica e la costruzione in loco di un nuovo stabilimento per la ricerca e lo sviluppo per la casa di auto di lusso. “L’accordo da 500 milioni di sterline con l’Aston Martin beneficerà direttamente l’impianto Gand nel West Midlands e quello di St Athan nel Galles” ha commentato soddisfatta la premier britannica, “aiuterà a salvaguardare i posti di lavoro esistenti e ad aprire nuove possibilità di accordi futuri con il Giappone”.

Dopo aver partecipato alla tradizionale cerimonia del the seduta scalza accanto ad Abe, la May ha condannando l’atteggiamento “oltraggioso” e le provocazioni della Corea del Nord. A tal proposito ha lanciato un appello alla Cina per fare pressioni sul regime di Pyongyang: “Credo che la Cina abbia un ruolo chiave da giocare in termini di pressione”, per questo il Regno Unito si unisce al coro dei paesi che chiedono a Pechino “di fare tutto il possibile per fare pressioni sulla Corea del Nord e fermare tutto questo”. Ingerenze che non sono state gradite dai diplomatici cinesi, tanto che un portavoce del ministro degli Esteri del Dragone ha subito ribattuto, sostenendo che i critici di Pechino “prestano attenzione soltanto alle sanzioni e alle pressioni, e ignorano le trattative per la pace”.

In questi giorni il governo di Tokyo chiederà alla delegazione britannica assicurazioni sull’evoluzione della Brexit. Lo aveva già fatto senza giri di parole nel settembre del 2016, quando aveva inviato a Downing Street e a Bruxelles una lista di 18 richieste per lasciare operare liberamente le aziende giapponesi nel Regno Unito. Fra le altre, i giapponesi esigevano l’armonizzazione delle regolamentazioni e degli standards fra UE e UK, la libertà dei servizi finanziari, la liberalizzazione delle merci senza imporre barriere e la protezione unificata dei diritti di proprietà intellettuale.

Il compito della May in questi giorni non è dei più semplici. Non soltanto perché l’ultima visita del suo governo a Tokyo in luglio, quella del ministro degli Esteri Boris Johnson, è stata un fallimento sul piano diplomatico, tanto che la leader dei Tories ha deciso di non portarlo con sé questa volta. Il governo nipponico, oltre alle altre colorite espressioni del ministro conservatore, non aveva in particolare gradito una sua uscita scomposta sull’accordo Ue-Tokyo, quando aveva dichiarato che i giapponesi erano pronti a trasformare quell’accordo in un “fantastico, canterino e ballerino accordo fra Regno Unito e Giappone”.

Ma soprattutto Theresa May deve affrontare l’imbarazzo di aprire i negoziati per un accordo di libero scambio riciclando per gran parte il patto fra Bruxelles e Tokyo dal cui Londra si ritrova esclusa per aver scelto la Brexit. E per farlo dovrà dare a Shinzo Abe delle garanzie sul futuro delle 1000 compagnie giapponesi che danno lavoro a più di 140.000 persone nel Regno Unito. Specialmente dopo il recente acquisto da 502 milioni di dollari da parte del colosso nipponico delle telecomunicazioni Softbank Group dell’inglese ARM Holdings, e l’espansione degli stabilimenti in terra britannica da parte di Nissan e Toyota (che rispettivamente hanno prodotto 478.000 e 196.000 auto in Regno Unito lo scorso anno).

Se vuole aprire un negoziato per un accordo bilaterale con un partner da 52 miliardi di investimenti, il governo May deve saper trovare un equilibrato approccio diplomatico. Non è infatti piaciuta agli ufficiali giapponesi la fretta con cui da Londra si chiede di passare alle trattative commerciali. “Non credo che ci saranno progressi sostanziali” ha rivelato uno degli ufficiali del commercio giapponese al Financial Times, “non abbiamo ancora finito i negoziati con l’UE, li abbiamo appena conclusi sul livello politico”. Non nasconde invece il suo scetticismo per la Brexit l’ex ambasciatore a Londra Yoshiji Nogami: “Non possiamo negoziare finché la Gran Bretagna non è fuori dall’Ue. Credo che Abe voglia sentire dal primo ministro inglese fin dove lei vuole arrivare con la Brexit”.

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