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La forte debolezza europea della Germania

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Una parte consistente del destino dell’Europa dipenderà dalle elezioni tedesche. Questo dato di fatto può anche dispiacere, ma certamente rappresenta una consapevolezza diffusa in Germania. Come ben si sa, specialmente negli ultimi anni, la politica di Berlino l’ha fatta da padrona su tutto, e un po’ tutti siamo stati dominati, volenti o nolenti, dalla grande trazione teutonica, sia in ambito economico che in ambito politico.

La situazione generale, tuttavia, con cui Angela Merkel si avvia a vincere le elezioni del prossimo 24 settembre, non è delle migliori. L’Unione Cdu-Csu promette di essere vittoriosa, alla viglia del prossimo comizio a Ludwigsschafen della Cancelliera, ma non a mani basse: e la partita vera si giocherà all’indomani del voto a seconda dei risultati degli altri partiti nazionali.

Da un lato vi è l’Spd di Martin Schulz, il quale realmente non è riuscito a garantire l’auspicato ribaltamento di consensi. Gli ultimi sondaggi danno la sinistra intorno al 25% al massimo, sebbene anche i centristi non riescano a superare il 36%. Come nelle scorse tornate non vi sarà un partito vincente, e, grazie anche al sistema elettorale proporzionale, la soluzione sarà affidata ad una coalizione necessariamente eterogenea. Il problema, dunque, è l’entità della vittoria di Merkel e il corrispettivo risultato di Schultz.

Un ruolo di primo piano lo avranno anche, come è logico, i partiti minori. Innanzitutto i liberali di Christian Lindner, i quali, oltre ad essere i falchi della rigidità, se dovessero entrare in coalizione con il centro, garantirebbero una sorta di continuità alle politiche finanziarie tedesche e una decisiva apertura alla Francia. Non è mistero l’entusiasmo con cui il Fdp ha accolto la vittoria di Emmanuel Macron. Un’eventuale coalizione di questo tipo sarebbe vantaggiosa per la Francia, anche se forse non troppo per Merkel, schiacciata così tra due fuochi: quello francese e quello del ministro di ferro delle Finanze Schäuble. Ovviamente, tutto dipenderà, com’era da noi nella prima Repubblica, da dove si sposteranno i voti, anche lievemente, se verso sinistra o destra.

Altre soluzioni sono però possibili. Ci sono i Verdi, tradizionalmente forti in Germania, la cui entrata o meno nella maggioranza determinerebbe delle diversità nella politica economica rispetto ad oggi. E non si può escludere, d’altronde, neanche la cosiddetta coalizione Giamaica (per i colori che sarebbero messi insieme), vale a dire un governo Cdu-Csu-Liberali-Verdi. Insomma tutto è estremamente incerto.

Dal punto di vista più generale non è detto, ad esempio, che un indebolimento elettorale di Merkel determinerebbe dei benefici per gli altri Paesi europei. Anche perché il rischio è che un eventuale spostamento a destra radicalizzi gli attuali problemi europei dovuti alla rigidità del patto di stabilità; mentre una svolta a sinistra potrebbe perfino provocare un singolare rafforzamento dell’isolazionismo tedesco e mali anche peggiori per tutti noi.

Quello che è sicuro, ciò nondimeno, è non solo che l’egemonia di Berlino non sarà messa in discussione da nessuna di queste ipotesi, ma che Merkel uscirà, in ogni caso, rafforzata anche se indebolita. D’altronde, entrando nell’ultima fase della sua brillante carriera, dopo ben dodici anni di Governo, è possibile infatti che la minore forza elettorale sia sopperita dalla lunga esperienza e da una maggiore libertà di manovra da parte di una leadership indubbiamente straordinaria dal punto di vista della durata e della qualità politica.

Il resto lo faranno le politiche degli altri Stati europei, compreso il nostro, dai cui effetti, sommati a quello tedesco, verrà fuori il volto della futura Europa, tanto bisognosa di rinnovarsi ma sempre in difficoltà a farlo realmente.

Alla fin fine, venuto meno l’astratto miraggio del populismo, sarà necessario tornare a ripensare un’Europa diversa dentro l’Europa di sempre, una sfida che appare urgente e obbligata, sebbene inevitabilmente difficile e a tratti perfino contraddittoria.

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