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Le nuove norme della Cina sulle religioni? Una doccia gelata sui negoziati con il Vaticano

Dal prossimo 1° febbraio, salvo ripensamenti, entrerà in dire il nuovo regolamento sulle attività religiose in Cina. Il testo è stato pubblicato sui canali informativi dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi, e a una prima occhiata la situazione sembra mettersi male per i fedeli. Lo scrive in modo chiaro, su Asianews, il portale del Pontificio istituto per le missioni estere, padre Bernardo Cervellera: “Il nuovo testo non cambia molto rispetto alla bozza, ma – se possibile – è ancora peggiore. I pochi articoli aggiunti (ne abbiamo contati tre) appesantiscono la lista delle pretese minacce e deviazioni che possono venire dalle religioni”.

PUNIZIONI E MULTE

A scorrere le pagine, si comprende la portata di quanto sta per accadere. Si prenda, a titolo d’esempio, l’articolo che prevede le punizioni per gli attentati di matrice religiosa. Tipologia che, osserva Cervellera, “si conta sulle dita di una mano”. Attentati che, tra le altre cose, “sono spesso a carico di alcune sette con qualche migliaio di aderenti, a paragone di oltre 500 milioni di credenti delle diverse religioni. Eppure l’articolo dà l’impressione che le religioni tout court siano non solo l’oppio dei popoli, come diceva Marx, ma la peste dei popoli”.

ESPULSIONI DA SCUOLE E UNIVERSITA’

Quel che poi rileva è che le comunità cosiddette sotterranee non dovrebbero nemmeno esistere, con la prevista “chiusura dei siti che hanno ospitato attività illegali e il loro sequestro e incameramento nei beni dello stato”. Oltre, naturalmente, a multe elevatissime che pochi potrebbero permettersi di pagare. Per non parlare delle punizioni previste per chi fa “proselitismo” a scuola o nelle università. Diversi studenti sono stati espulsi perché “trovati a pregare in privato negli edifici” degli atenei locali.

LO STATO DEI NEGOZIATI CON IL VATICANO

E’ paradossale che mentre la Santa Sede è impegnata a compiere ogni sforzo per migliorare sì le relazioni diplomatiche ma soprattutto per risolvere una volta per tutte la questione dell’ordinazione dei vescovi, sul campo la situazione per i semplici fedeli e per i sacerdoti si faccia più complicata. Il Vaticano continua a mostrarsi prudentissimo ogni qualvolta si tratta di parlare di Cina, anche se il Papa in persona più volte ha dato segnali d’apertura, di disponibilità a riannodare il filo della dolorosa vicenda, anche mettendo da parte tutte le incomprensioni e le fratture del passato. La segreteria di Stato, che ha nel cardinale Pietro Parolin forse il massimo conoscitore dei dossier cinesi che la chiesa possa offrire oggi, è altrettanto prudente. A parole d’apertura si alternano sguardi realistici sul cammino ancora lungo.

“UNA SITUAZIONE DI STALLO”

A inizio settembre, l’Associated Press dava conto dello stato delle trattative, parlando di “situazione di stallo”. Il problema maggiore, rilevava il quotidiano americano, è che “ancora nessuna delle due parti è disposta ad accettare i vescovi nominati dall’altra parte”. E cioè Pechino non dà il via libera ai vescovi nominati da Roma e Roma – anche in virtù di quanto ribadito nella Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI – non può accettare pastori nominati dallo stato. Una matassa, al momento, che neppure i compromessi ipotizzati sembrano poter sbrogliare.

RUSPE CONTRO LE CHIESE

Proprio nelle settimane scorse, a Wangcun, le autorità avevano dato disposizione di iniziare la demolizione dei una chiesa cattolica per fare spazio a una “piazza per il popolo”. Ma operai e militari s’erano scontrati con la resistenza di fedeli e sacerdoti, che si erano messi a pregare davanti all’edificio, bloccando le ruspe. Diversi feriti, siti internet della diocesi oscurati, foto sequestrate, ma alla fine i lavori di demolizione sono stati interrotti.

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