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Che cosa deve insegnare la vicenda dello studio Ue sulla pirateria on line

Lingotto, 5 stelle, molestie

Dice molte più cose di quel che sembra la notizia che la Commissione di Bruxelles ha commissionato, pagato e tenuta nascosta per molto tempo una ricerca sugli effetti della “pirateria” online sulle vendite di film, libri, dischi. Dice molto sia sul funzionamento dell’Unione Europea, sia sull’ideologia che la domina e che a mio avviso ne segna in questo momento il limite più evidente. Lo studio, secondo quanto riferito da Newsweek e riportato poi dal sito del Corriere della sera, attesta che non c’è una connessione evidente in senso negativo fra le vendite dei prodotti culturali e la violazione online del copyright.

Un dato significativo, secondo la deputata tedesca Julia Reda che ha denunciato pubblicamente l’accaduto, per poter poi deliberare in sede legislativa con più cognizione di causa. O, meglio, visto che Reda è esponente del partito tedesco dei “pirati”, per rendere meno punitiva, anzi per liberalizzare, la legislazione attuale sul diritto d’autore.

Il sospetto è che proprio questo la Commissione non volesse: tendendo ogni burocrazia prima di tutto a conservarsi e a preservare il proprio potere, è evidente che la proliferazione di leggi e regolamenti facilita il compito. Questo è tanto più evidente a livello europeo, ove i funzionari non hanno un referente diretto con pieni poteri politici (poteri che restano per lo più in capo ai singoli Stati). Non avendo potere politico effettivo, è altresì evidente che la commissione europea cerchi di dare una veste quanto più possibile asettica e neutrale alle proprie decisioni.

Da qui l’idea, tipicamente razionalistica e quindi impolitica, che sia necessario accompagnare le proprie decisioni con l’avallo di esperti e tecnici. Pagati profumatamente, come in questo caso secondo la denuncia di Reda. E di qui anche tutto un mercato di consulenze, studi, expertises, che, secondo il mio parere di filosofo d’antan, hanno poco o nessun valore, inseguendo un mito di origine positivistica, quello dell’oggettività e della competenza, che non solo nuoce alla politica ma devia anche la scienza dal suo obiettivo primario che è la ricerca disinteressata. Il meccanismo, in questo caso, sembra essere andato in tilt, tanto che la ricerca, in barba ai soldi del contribuente liberamente spesi, è rimasta nel cassetto.

Resta così per me confermato, da un punto di vista generale, che il progetto europeo non funziona perché è stato impostato, o meglio si è trasformato col tempo, in un progetto “ingegneristico”. Sarebbe più utile lavorare sul sentimento europeistico dei cittadini. Il quale certo non può essere indotto per via indiretta, ma di cui classi dirigenti lungimiranti potrebbero creare lo spazio effettivo per rinsaldarlo lo e farlo fiorire.

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