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L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Mara Carfagna, Renato Brunetta e Mariastella Gelmini tra decreto dignità e flat tax. Le foto

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Giorgio Mulè
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Mara Carfagna
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Mara Carfagna
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Mara Carfagna
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Mara Carfagna
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Renato Brunetta, Mara Carfagna, Giorgio Mulè e Mariastella Gelmini
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Renato Brunetta
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Andrea Mandelli, Renato Brunetta
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Andrea Mandelli
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Sono, tradizionalmente, uno dei dossier pronti ad essere rispolverati dal governo di turno. Le partite Iva vengono costantemente resuscitate quando si parla di rimettere in sesto il mercato del lavoro, partendo dai liberi professionisti. Il governo gialloverde non poteva essere da meno, tanto da muovere il primo passo sulla flat tax al 15%, totem della Lega e cardine del contratto di governo, proprio dalle partite Iva.

Due giorni fa, infatti, il capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, ha annunciato il primo assaggio di flat tax alla Camera, attraverso il deposito della proposta per l’estensione del regime minimo-forfettario del 15% per tutte le partite Iva fino ad un volume d’affari di 100 mila. Il primo germoglio di flat tax di stampo leghista, parte dai lavoratori autonomi. Eppure qualcosa nella proposta della Lega non torna proprio.

Almeno secondo Forza Italia, che oltre ad aver concepito la flat tax alternativa, quella al 23%, ha depositato una proposta a prima firma Mara Carfagna che fissa sì l’aliquota al 15% alle partite Iva ma fino a un tetto di fatturato di 50 mila euro. Ed è la stessa vicepresidente della Camera a spiegare a Formiche.net dove e perché la variante azzurra è migliore di quella verde.

L’intervista di Gianluca Zapponini a Mara Carfagna.

(Foto Imagoeconomica – riproduzione riservata)

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