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Pera o Ferragnez? L’Italia davanti al guado dell’egemonia culturale

Il vecchio modello è finito ma quello nuovo ancora non è nato. Una crisi che non riguarda soltanto il nostro Paese ma qui non c’è rimasto molto culturalmente e bisogna ricostruire forse più che altrove. Il commento di Francesco Sisci

Tra Marcello Pera e i Ferragnez cosa preferite? Fratelli d’Italia ha scelto Pera; il Partito democratico, erede dei Moro e dei Togliatti, ha optato per i Ferragnez.

Ci sono tutti i caveat del caso; le analisi di Pera possono non piacere, invece le boutade modiste dei Ferragnez spopolano. Ma da che parte sarebbe stato Palmiro Togliatti, detto il migliore, per la sua cultura immensa? Chi avrebbe voluto dalla sua Aldo Moro, professore di filosofia del diritto a 28 anni, celebre per le sue frasi lunghe più di una pagina? Probabilmente sarebbero stati con Pera, non con i Ferragnez.

E qui c’è la serie di problemi italiani di queste elezioni. È finita l’egemonia culturale della sinistra, ma non si è affermata una egemonia culturale alternativa. Né la destra ha proposte culturali forti capaci di fare breccia e unificare culturalmente l’Italia come fece la sinistra nei decenni passati.

Il Partito comunista italiano usò Antonio Gramsci, si insinuò anche nella civiltà cattolica, in quella liberale, e dominò l’orizzonte culturale fino a poco tempo fa. I suoi oppositori vinsero perché crollò l’architrave reale di quello scibile, l’Urss, ma dagli anni Ottanta in poi avevano tenuto semplicemente botta con un approccio ridanciano, senza una alternativa intellettuale forte.

Forse proprio cosciente di questa debolezza culturale, Silvio Berlusconi cercò di arruolare in un primo momento uomini come Giuliano Urbani, Antonio Martino e lo stesso Pera. Essi tentarono ma non fecero breccia dalla parte avversaria. Nella stessa “destra” sono rimasti marginali e sono poi stati emarginati dal berlusconismo. Berlusconi infatti, uomo di marketing, si accorse che la cultura seria di destra non piaceva nemmeno alla destra, e certamente non alla sinistra.

Oggi la situazione è in parte diversa. La sinistra ha perso la sua vecchia solidità di conoscenza, i suoi dibattiti sono deboli e non ha intellettuali organici o disorganici da schierare nell’agone cerebrale. Questo è fondamentale perché dai contenuti deriva tutto, come mi spiegò nel 1998, Rupert Murdoch, padre della “cultura commerciale”, quando gli organizzai il suo primo viaggio in Cina. In effetti questa è la tradizione secolare cattolica: chi conquista la vetta filosofica poi discende a valle, verso la cultura popolare, come una valanga.

La sinistra per esempio in questi giorni non è riuscita a impostare il dibattito politico su un suo sempreverde – l’accusa di fascismo contro i suoi nemici designati. Quando i leader del Partito democratico hanno provato a biasimare Fratelli d’Italia per essere fascisti, sono stati accolti con scrollate di spalle o sorrisini dai loro stessi partigiani. Il Partito democratico non ha più autorevolezza intellettuale.

D’altro canto, però, la cultura di destra non è stata sostituita. Uno dei problemi radicali è cosa possa essere oggi la cultura conservatrice in Italia. Il grande movimento “conservatore” iniziò alla fine degli anni Settanta con Margaret Thatcher e Ronald Reagan i quali erano in realtà degli innovatori che rivoluzionarono il concetto di “conservatore”. Aprirono una nuova fase della cultura liberale di mercato che conquistò anche il dibattito della parte avversaria. In realtà i due non erano per niente “conservatori” ma innovatori. Fecero uscire la cultura di mercato da quell’angolo dove l’avevano chiusa i movimenti socialisti di mezzo mondo. Così diedero nuovo impulso alle idee che avevano promosso la rivoluzione capitalista alla fine del Seicento. Oltre a questo c’è stato un altro fenomeno conservatore cristallizzato intorno a certe idee di papa Benedetto XVI e alcune interpretazioni difensive dell’idea dello scontro delle civiltà. Però né l’uno né l’altro sono riusciti ad avere quella egemonia culturale nel mondo o in Italia. In Italia in particolare quel conservatorismo cattolico è stato divisivo. Non ha creato unità né nel mondo cattolico né nella società ampia. Ha spaccato il paese in pro e contro.

Ciò è diverso da quello che era successo con la cultura del Partito comunista italiano. Essa era riuscita a sedurre parte del mondo che gli era avverso, sia democristiano sia liberale. Le idee liberali sono controverse ma non divisive in Italia. Nessuno si schiera in linea di principio contro la libertà di mercato, nemmeno la sinistra. Nessuno si dichiara contro il capitalismo in quanto tale, al massimo si oppone alle sue radicalizzazioni.

Diverso è invece il conservatorismo culturale che ancora non riesce a conquistare grandissimi consensi a sinistra o a destra. In questo deserto culturale, l’Italia in meno di cinque anni ha bruciato uno dopo l’altro tutti partiti che promettevano il rinnovamento radicale del Paese, il Movimento 5 stelle prima e la Lega poi. Ora Fratelli d’Italia vince perché appare l’ultima novità. Ma se fra un po’ fallisce anche essa, non ci sono più altri partiti. Inoltre, secondo i sondaggi, Fratelli d’Italia cresce cannibalizzando suoi alleati nel centrodestra, non sfondando al centro come fece il Partito comunista italiano negli anni Settanta.

L’Italia si trova quindi in mezzo un guado culturale drammatico e profondo: il suo vecchio modello di egemonia culturale è finito e il modello nuovo ancora non è nato. Le idee di “patria e famiglia”, per esemplificare, hanno un valore autentico, specie in un momento di grande confusione culturale. Ma oggi hanno un impatto limitato perché non universalistiche, gli interessi della mia patria sono in essenza contro gli interessi della patria tua. Viceversa, il capitalismo e il comunismo erano universali. Il primo promette più ricchezza per tutti, anche se non parimenti distribuita; il secondo offre l’eguaglianza universale, anche se non proprio nella ricchezza. La socialdemocrazia cerca una mediazione fra i due.

Inoltre, l’invasione russa dell’Ucraina è anche un colpo a certe idee di estrema destra, sostenute da Mosca, mentre negli Stati Uniti le polemiche dell’ex presidente Donald Trump contro il dipartimento di Giustizia minano lo stato di diritto, la rule of law, architrave dell’Occidente.

La debolezza quindi non è solo italiana, ma grava oggi in Italia perché non c’è rimasto molto culturalmente e bisogna ricostruire forse più che altrove.

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