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Iran deal, cosa cambia dopo il dossier di Bibi. Che si prepara alla guerra

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha mostrato alcune della “mezza tonnellata” di informazioni raccolte dalla sua intelligence che dimostrerebbero come l’Iran stia aggirando l’accordo per congelare il proprio programma nucleare siglato nel 2015.

Molte delle immagini diffuse non sono una novità: per esempio, il capo della sicurezza dell’Agenzia atomica, Ollie Heinonen, dice al Guardian di aver mostrato alcune delle immagini che Netanyahu ha presentato ieri già durante un briefing riservato all’Iaea nel febbraio 2008.

Però la presentazione ha mosso le acque. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha chiamato l’israeliano chiedendo responsabilità e riaffermando che secondo Mosca l’affare nucleare è di fondamentale importanza per assicurare la stabilità e la sicurezza internazionali.

Per questo deve essere rigorosamente osservato da tutte le parti, dice Putin. La Russia, in quanto membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è una delle cinque parti (più una) nel meccanismo multilaterale che ha negoziato l’accordo.

La Cancelliera tedesca, Angela Merkel, il più uno del meccanismo 5+1, ha parlato al telefono con Netanyahu della presentazione e ha posto all’israeliano la stessa domanda posta alla Casa Bianca — che la vede esattamente come Netanyahu sull’Iran — nella visita del 27 aprile: quale alternativa? Lo stesso vale per il francese Emmanuel Macron, altro dei leader europei del deal contattato da Netanyahu: ma è noto che l‘Eliseo ha posizione simile a Berlino, ribadita anche durante il viaggio di Stato a Washington (l’accordo non sarà perfetto, ma deve stare in piedi).

Nei prossimi giorni funzionari israeliani presenteranno i risultati mostrati dal loro primo ministro direttamente agli alleati: sono previsti contatti con Londra e poi una comunicazione alla Cina. Per il momento, un consigliere diplomatico tedesco ha detto all’informatissimo giornalista israeliano di Channel 10, Barak Ravid, che la presentazione di Bibi non ha mostrato “niente che non sapevamo già”. Un commento simile lo ha fatto anche Bob Corker, chairman della Commissione Esteri del Senato americano.

Ravid aggiunge su Twitter che il diplomatico tedesco dice: “Qual è l’alternativa di Netanyahu all’accordo nucleare? Che cosa suggerisce? L’accordo nucleare è quello che ci permette di sorvegliare il programma nucleare iraniano. L’accordo ci dà strumenti per chiedere che gli iraniani agiscano in modo trasparente sul loro programma nucleare”.

Qualche giorno fa, James Mattis, l’ex generale dei marines che adesso è a capo del Pentagono, ha detto ai senatori americani della commissione che lo ha chiamato per fare un punto generale sulla situazione, di aver riletto per tre volte tutte le 156 pagine del Jcpoa — acronimo per Joint Comprehensive Plan of Action, che è il nome tecnico dell’accordo con l’Iran — e di esserne uscito piuttosto rassicurato.

Mattis dice che sembra scritto presupponendo che l’Iran menta, ed è per questo che offre garanzie sul controllo. Quelle che invece mancano secondo il suo capo, il presidente Donald Trump, il più felice delle parole di Netanyahu — che forse anche per comunicarle in modo più diretto ha scelto di parlare in inglese.

La Casa Bianca ha diffuso uno statement scrivendo che l’Iran “ha un programma nucleare”, anche se per due volte gli analisti della sua intelligence hanno confermato altrimenti (ma adesso, la scadenza del 12 maggio potrebbe andare in modo diverso).

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Successivamente la portavoce ha corretto verbalmente la nota, che però è restata online scritta. Ma Trump ha detto che comunque quello dimostrato dagli israeliani è la conferma che l’accordo è pessimo.

Però, anche qui, dire “gli israeliani” non è esatto: Jim Sciutto, capo dei reporter che si occupano di sicurezza nazionale alla Cnn, fa notare che ci sono diversi funzionari israeliani che credono che l’accordo stia “lavorando” bene.

Intanto, quasi in contemporanea alla presentazione, la Knesset ha approvato una legge che permette al premier e al ministro della Difesa di decidere da soli azioni di guerra.

 

 

 

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