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Perché in Renzi vedo mosse alla Berlusconi

Diavolo di un uomo, Matteo Renzi riesce ad assomigliare a Silvio Berlusconi anche nell’imprevedibilità delle decisioni, che spiazzano sempre più spesso anche la sua squadra, o “giglio magico” che si voglia chiamare, o immaginare.

Dell’idea di togliere dalla detassazione delle prime case i castelli, le ville e le abitazioni di stralusso per cercare di calmare i più agitati di quel che resta della minoranza del suo partito, il presidente del Consiglio si era dimenticato di avvertire persino i ministri dell’Economia Pier Carlo Padoan e della Infrastrutture Graziano Delrio. Che, mentre lui indietreggiava, erano ancora impegnati a ribadire e a spiegare con interviste e dichiarazioni le buone ragioni dello slogan iniziale dell’operazione prima casa: via l’Imu, o come diavolo si chiama adesso, “per tutti e per sempre”: parole testuali del capo del governo in persona.

Lo stesso “giglio magico” di Renzi comincia ad essere percorso dalle tensioni, distinzioni, sottigliezze, gelosie, conflitti d’ambizione dell’entourage di Berlusconi negli anni più fulgidi del potere, quando fedeli e fedelissimi si contendevano incontri, telefonate, biglietti e promesse, accumulando inevitabilmente speranze, ma anche illusioni e delusioni.

Sembra essere addirittura già arrivato anche per il giovane presidente del Consiglio e segretario del Pd il momento dei “diversamente renziani”, come Antonio Padellaro, consumatissimo cronista politico prim’ancora di ex direttore dell’Unità e del Fatto, si è divertito a chiamare Delrio e Matteo Richetti per il manifestato disagio di fronte ai rapporti di eccessivo vicinato, secondo loro, con Denis Verdini. Anche Angelino Alfano, Renato Schifani, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e amici nel 2013 si separarono dall’allora Cavaliere, in procinto di decadere da senatore e di passare all’opposizione del governo di Enrico Letta, definendosi – vi ricordate? –  “diversamente berlusconiani”.

(PIZZI RICORDA QUANDO ALFANO, CICCHITTO E QUAGLIARIELLO ERA FELICI ASSIEME. LE FOTO)

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Non è per niente detto, naturalmente, che Delrio e Richetti abbandonino Renzi, per quanto entrambi abbiano sperimentato difficoltà nei rapporti con il sottosegretario Luca Lotti, il braccio destro di un presidente del Consiglio per niente mancino. Allo stesso Padellaro, che ne ha sottolineato i dissensi, è venuto il dubbio di avere scambiato lucciole per lanterne quando ha visto e sentito Delrio rispondere troppo imbarazzato a una incalzante Lilli Gruber, a Otto e mezzo de la 7. I dubbi su Verdini rimangono, ma “poi si vedrà”, ha detto il ministro, essendo evidentemente troppo presto per andare oltre qualche smorfia di fastidio, o di incredulità, sulla strada del cosiddetto “Partito della Nazione” attribuito ai disegni di Renzi. E che piace tanto a Verdini da sentirsene attratto, in quale modo “poi si vedrà”, dice anche lui.

Persino Maria Elena Boschi, ormai immagine femminile del governo guidato dal maschio Renzi, comincia forse a sentirsi troppo stretta non negli abiti in effetti attillati che abitualmente indossa, ma nella rappresentazione della ministra più ubbidiente. E’ stata appena costretta dal presidente del Consiglio, dopo inutili resistenze telefoniche, ad annacquare il vino offerto ai grillini e ai vendoliani per approvare a marce forzate, o quasi, la legge sulle unioni civili fra gli omosessuali, con adozione annessa, nonostante le resistenze del partito di Alfano. Che sarà pure malmesso, fra fughe o minacce di fughe, ma resta pur sempre una parte numericamente essenziale della maggioranza di governo, per quanti aiuti possano offrire i verdiani e Renzi possa accettarne.

In estate fece scalpore il leghista Roberto Calderoli, impegnato allora a produrre elettronicamente milioni di emendamenti ostruzionistici alla riforma del Senato, quando rivelò di avere parlato con il presidente del Consiglio raccogliendone la disponibilità a venirgli incontro solo se fosse riuscito a convincere l’irremovibile ministra Boschi. “Una recita delle parti?”, si chiese Calderoli. Solo una recita? può essere forse tentato ora di chiedersi.

(ECCO COME E DOVE PIZZI HA PIZZICATO MARIA ELENA BOSCHI. TUTTE LE ULTIME FOTO)

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Dal fronte dei sindaci arrivano due sorprese. La prima è l’assoluzione in appello di Luigi de Magistris dall’accusa di abuso d’ufficio con tabulati telefonici di Romano Prodi e Clemente Mastella in relazione alla sua passata attività di magistrato, per cui può rimanere sindaco di Napoli sino alla vicina scadenza del mandato, pur avendo perso davanti alla Corte Costituzionale la partita ingaggiata contro la legge Severino. Che gli aveva procurato, per la condanna in primo grado, una sospensione poi a sua volta sospesa.

L’altra sorpresa riguarda il sindaco dimissionario di Roma Ignazio Marino, contro la cui “damnatio memoriae”  è sceso in campo il costituzionalista Michele Ainis con un commento che però il Corriere della Sera ha pubblicato solo nell’inserto della Cronaca della Capitale.

Il problema di Marino, adesso, è di fare riprodurre questa difesa, magari aggiornata ad altri suoi meriti sconosciuti, sulla prima pagina del giornale più diffuso d’Italia. Un problema per il quale temo che non gli basteranno i giorni che mancano alla ricorrenza dei morti, quando le sue dimissioni, salvo altri colpi di scena naturalmente, diventeranno definitive. E Renzi potrà finalmente tirare un sospiro di sollievo conciliandosi davvero con il commissario romano e presidente nazionale del partito Matteo Orfini, ostinatosi per troppi mesi, secondo lui, a puntellare un sindaco troppo barcollante, sia a piedi sia in bicicletta,  e goffamente autolesionista.

(COSI’ PIZZI RICORDA QUANDO RENZI E IL PD COCCOLAVANO IGNAZIO MARINO. FOTO D’ARCHIVIO)

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