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Bad bank, cosa pensano Banca d’Italia, Eba, Consob e Abi

Per qualcuno è una chimera. Per altri un obiettivo possibile e giusto. Ma della bad bank, almeno per il momento, si sono perse del tracce. Non quella da 1,5 miliardi con cui sono stati ripuliti i bilanci delle 4 banche salvate dal governo, sia chiaro, ma quella “nazionale”, dove far confluire tutte le sofferenze dell’intero sistema bancario nazionale. Il progetto agognato da Pier Carlo Padoan, è insabbiato da mesi, impantanato nei gangli della burocrazia europea e al centro di tensioni crescenti tra Palazzo Chigi, Bruxelles e Berlino. Che deve ancora decidere se il progetto italiano è buono o meno. Nel frattempo però, qualcuno è tornato alla carica, come la commissione Finanze del Senato. Che dopo un anno di audizioni del mondo bancario, tra tanti dubbi e qualche spruzzo di ottimismoha redatto un documento conclusivo in cui sprona chi di dovere a battersi ancora una volta per portare a casa il progetto.

COSA DICONO I SENATORI

Nel testo, redatto pochi giorni fa, i senatori della commissione, rilanciano l’idea di una bad bank. “La proposta della costituzione di un veicolo speciale cui conferire i crediti deteriorati, ripulendo i bilanci delle banche e restituendo ad esse un margine di manovra che oggi è piuttosto ristretto appare la strada principale“, si legge nel documento. Dove per margine di manovra si intende la possibilità per gli istituti di tornare ad erogare prestiti, una volta alleggeriti i bilanci. La commissione poi si dice pronta a dare man forte a Renzi e Padoan nella battaglia per la bad bank, mettendo anche le mani avanti sullo spauracchio europeo degli aiuti di Stato alle banche. Il prevede infatti il ricorso a un meccanismo di garanzia pubblica per i debitori insolventi che non possono rimborsare il credito deteriorato. “Se ben delimitata e con le necessarie contromisure, la garanzia pubblica non sia valutata come un aiuto di Stato a singole banche, ma sia considerata un fattore sistemico di stimolo”.

QUANDO BANKITALIA ERA OTTIMISTA

Un anno è lungo e le sensazioni sulla buona riuscita di un progetto possono cambiare. La Banca d’Italia, per esempio, si era detta ottimista sulla costituzione in tempi celeri della bad bank. “Le autorità italiane”, aveva detto il vicedirettore Fabio Panetta, “stanno discutendo con la Commissione europea la creazione di una società per l’acquisto e la gestione delle sofferenze bancarie sulla base di meccanismi di mercato e senza oneri per lo Stato”. “Tale discussione sta registrando progressi e il successo di tale iniziativa comporterebbe vantaggi per famiglie e imprese, come riflesso di una maggiore disponibilità di credito”. Tutto molto giusto, se non fosse che, passati sei mesi (era luglio) della bad bank si è saputo poco o nulla, se non notizie negative. Un po’ più realista era stato, pochi mesi prima, il governatore Ignazio Visco, che aveva avvertito dei rischi di incappare nella ragnatela degli aiuti di Stato. “Ci sono iniziative in corso, sulle quali lavoriamo intensamente con il ministero dell’Economia. C’è una questione sulla quale bisogna stare molto attenti: il problema degli aiuti di Stato. Se c’è ruolo pubblico deve essere conveniente per il pubblico e con la partecipazione del sistema privato”.

I DUBBI DELLA CONSOB

Più scettica si era mostrata la Consob di Giuseppe Vegas, finita in questi giorni sotto i riflettori per la vigilanza sulla vendita delle obbligazioni subordinate. In un’audizione a marzo Vegas si era mostrato perplesso verso il progetto messo a punto dal Tesoro, a forte rischio di essere bloccato dall’Ue (come poi pare sia avvenuto). “L’ipotesi di una bad bank presenta aspetti critici”, aveva premesso. “Per affrontare il problema delle sofferenze bancarie” occorre trovare “forme alternative con un maggiore coinvolgimento dei privati” per evitare sia “le implicazioni legate al ricorso a programmi di aiuti comunitari”, sia “i riflessi negativi sul rapporto debito/Pil che potrebbero derivare da un intervento interamente a carico del bilancio pubblico”. La Consob aveva semmai giudicato positivamente il meccanismo della garanzia di Stato, adattta a “indurre i privati a investire e a sottoscrivere le passività”.

L’ALTERNATIVA DELL’ABI

Sulla questione bad bank non poteva ovviamente mancare il punto di vista dell’Abi, intervenuta in Senato nel mese di marzo. “Il punto non è la costituzione di una bad bank, questa è stata necessaria nelle situazioni in cui dei sistemi creditizi erano al collasso. Da noi il problema è come ridurre l’assorbimento di capitale legato ai crediti deteriorati e dunque liberare risorse per il credito all’economia”, aveva detto il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, indicando “tre punti da risolvere: il primo consentire la deducibilità fiscale delle perdite sui crediti in un solo esercizio; poi velocizzare le procedure per la escussione e la disponibilità delle garanzie. Infine, per i veicoli europei che comprano i portafogli di crediti (cartolarizzati) dalle banche appare necessaria una garanzia statale, rispettando ovviamente le norme comunitarie in tema di aiuti di Stato”. Insomma, per l’associazione delle banche, il nocciolo della questione era, ed è, sì alleggerire i bilanci, ma senza ricorrere alla bad bank. E questo perchè per l’Abi teme forse che agli attuali prezzi di mercato, risulti difficile vendere al meglio i crediti deteriorati.

LO SPRINT DELL’EBA (E DELLA BCE)

Ma in tutto ciò, prima che da Bruxelles filtrassero rumors di stop alla bad bank, cosa ne pensava l’Ue del progetto. A sentire Andrea Enria, presidente dell’Eba, l’Autorità bancaria europea, intervenuto in Senato il 3 marzo, c’era di che stare allegri. “Se vogliamo rilanciare l’economia europea come quella americana è essenziale portare a termine con vigore la pulizia dei bilanci” nel sistema bancario, disse. Secondo Enria, “negli Stati Uniti questo processo di pulizia è stato molto più rapido che in Europa, e ciò ha consentito di far ripartire prima i prestiti per imprese e famiglie”. E pensare che pochi giorni dopo, il 26 marzo, il governatore della Bce Mario Draghi, affermò alla Camera che “la Bce guarda con molto favore alle iniziative che alleggeriscono i bilanci delle banche dalle sofferenze, liberando risorse a favore delle imprese”.

E IL GELO DEI BANCHIERI

La bad bank sembra invece non aver mai scaldato più di tanto il cuore dei banchieri. Uscendo dalla commissione Finanze del Senato dove era intervenuto lo scorso 24 febbraio, Gian Maria Gros Pietro (Intesa SanPaolo), commentò un po’ gelido. E’ uno strumento “utile” per alcune banche, ma solo se “realizzata con strumenti di mercato” e senza aiuti di Stato. “Intesa non ne ha bisogno”. Tecnico e un po’ freddino anche Alessandro Profumo, allora (febbraio) presidente di Mps: “Premetto che non mi piace il termine Bad bank. Serve un approccio sistemico per affrontare i problemi dei crediti deteriorati, spesso il medesimo cliente che non riesce a pagare si trova a dover gestire una pluralità di rapporti con le banche creditrici, questo va semplificato”.

I PALETTI DELLE BCC

Per le banche cooperative invece, comparse in Senato il 2 aprile, la bad bank si può fare purché vengano “considerati centrali i principi di accessibilità e sostenibilità delle operazioni di cessione“.Ovvero, non permettere l’accesso alla bad bank solo ad una ristrettaéelite di istituti. In particolare le Bcc chiedono che “non vengano previste soglie dimensionali troppo elevate per l’individuazione delle posizioni ammissibili alle operazioni di cessione”, che possano esser riconosciute le metodologie di valutazione del merito di credito, anche se “non incardinate su sistemi di rating interni validati a fini prudenziali”.

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