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La Repubblica di Calabresi, l’omelia di Scalfari e i biscotti di Renzi

La Repubblica, quella di carta che ha appena festeggiato i suoi primi 40 anni, contro i 70 che compirà a giugno quella vera, c’informa che non nevica da 10 settimane. Anche se a me è sembrato di vedere neve abbastanza di recente in certe località persino del sud. Sarà stata forse neve artificiale, alla quale il giovane direttore, e sciatore, Mario Calabresi non ha creduto, fidandosi più del caldo fuori stagione che si sente un po’ dappertutto in Italia, specie negli ambienti chiusi, come quelli forse di Repubblica, in cui il riscaldamento funziona irrazionalmente a manetta.

A proposito di ambienti, a quello del giornale che dirige da più di due settimane, ma dove gli capitò di lavorare già per sette anni prima di trasferirsi a Torino per assumere la guida della Stampa, Calabresi ha deciso evidentemente di abituarsi con tutta la calma e la prudenza consigliategli, prima dell’insediamento, dal fondatore Eugenio Scalfari. Che ne spiegò le ragioni in uno dei pochi salotti televisivi dove accetta ogni tanto di andare: quello di Rai 3 condotto da Fabio Fazio, riguardoso con lui quanto e forse anche più di Lilli Gruber a La 7.

In attesa di ambientarsi ben bene, il prudente e buon Calabresi è rimasto fermo all’editoriale d’esordio, scritto dall’alto delle nubi avare di neve e di pioggia. Un editoriale che si guardò bene perciò dall’entrare nei problemi della fastidiosa o sospetta attualità politica, lasciati ancora oggi alle riflessioni dei colleghi che se ne occupavano già prima di lui ogni giorno, o alle analisi festive di Scalfari. Nelle quali lo stesso Calabresi confidò all’autore, esortandolo con l’editore a non rinunciarvi, per quanta fatica gli potessero costare alla sua età, di volere respirare “l’atmosfera” del giornale appena ereditato.

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Anche Scalfari tuttavia riflette e scrive sollevandosi sempre di più sopra le miserevoli cronache politiche di questo sventurato Paese, che ha ormai solo la fortuna di essere confinante con il Vaticano. Dove regna felicemente, e finalmente, un Papa che ha conquistato la mente, il cuore e il telefono, fisso e mobile, del fondatore di Repubblica, pur non essendo ancora riuscito a portarlo nella comunità consapevole dei fedeli.

Ad attrarre Scalfari nella quarta domenica del tempo liturgicamente ordinario è stato soprattutto un appuntamento del prossimo, lontano autunno: non però il referendum confermativo sulla riforma costituzionale, sul quale Matteo Renzi ha deciso di scommettere tutto, anche la sopravvivenza della legislatura, ma un viaggio svedese del Papa per cercare di rammendare lo strappo semimillenario del protestantesimo.

Il rammendo religioso potrà forse giovare al processo d’integrazione europea, tanto caro a Scalfari, ben più dell’incontro conviviale appena svoltosi a Berlino fra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il giovane presidente italiano del Consiglio, incamminatosi su “una strada di totale ma consapevole incoerenza” verso il progetto dell’Europa federale di Altiero Spinelli. Sulla cui tomba tuttavia Matteo Renzi ha voluto recarsi, a Ventotene, reduce proprio da Berlino. Dove il poveretto, o il furbo, aveva consumato non i tortellini e i crauti del menù ufficiale riferito dai giornali ma solo “biscotti”, alzandosi quindi dalla tavola più affamato di prima. Affamato di “ambizione”, come la stessa Merkel ha detto ai giornalisti parlando delle riforme italiane di cui Renzi si vanta continuamente, ma alludendo anche alla volontà dell’ospite di smontare o di inserirsi nel rapporto privilegiato, e decisivo, che esiste nella gestione dell’Unione Europea fra la Francia e la Germania.

La dieta del biscotto, per restare all’immagine di Scalfari, ha procurato a Renzi solo l’offerta o la promessa della Cancelliera di qualche telefonata in più al momento giusto, prima dei vertici europei, e dopo la più consistente consultazione fra lei e il presidente di turno della Repubblica di Francia. Un po’ troppo poco, in effetti, per cui si può anche convenire con lo scetticismo di Scalfari, se non con la sua preferenza di scommettere più sui religiosi che sui laici per la sua sognata Europa federale. E persino con i suoi richiami ai “buchi nella sabbia” della vecchia poesia di Ernesto Ragazzoni, agli albori peraltro della prima guerra mondiale.

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Può ben appartenere purtroppo ai “buchi nella sabbia” di evocazione scalfariana anche il tardivo riconoscimento, o pentimento, del ministro della Giustizia Andrea Orlando, davanti ai magistrati di Palermo nella consueta cerimonia d’inizio dell’anno giudiziario, per il comportamento troppo “timido” della politica nei rapporti con la magistratura. Una timidezza felicemente interrotta nel 2012 solo dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il famoso ricorso alla Corte Costituzionale contro la Procura proprio di Palermo, sostenuto da Scalfari con tanta forza da farlo litigare per l’unica volta contro l’allora direttore della sua Repubblica Ezio Mauro.

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