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Tutte le bersanate di Matteo Renzi sul ddl Cirinnà

Tutto mi sarei francamente aspettato da Matteo Renzi fuorché l’imitazione di Pierluigi Bersani nei rapporti con i grillini, o come diavolo vogliono essere chiamati i pentastellati ora che il loro “garante” ha tolto il suo nome dal simbolo del movimento. E, tornato ai lucrosi spettacoli teatrali, ne dà anche per strada travestendosi da animale.

Per avere scommesso sui grillini, tre anni fa, inseguendone i voti in Parlamento per quello che chiamò un governo “di combattimento” contro Silvio Berlusconi, il “giaguaro” che era uscito dalle urne per nulla “smacchiato”, sino a sfiorare la vittoria, il povero Bersani perse sia l’incarico di presidente del Consiglio sia la segreteria del Partito Democratico. Seguirono la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale e la formazione del governo di Enrico Letta, entrambe concordate con l’odiato Berlusconi.

Messosi anche lui a inseguire i grillini per portare a casa quel grande affare politico di sinistra che considera – ahimè – la legge Cirinnà sulle unioni civili, e sul diritto genitoriale anche delle coppie omosessuali, Renzi non rischia, in verità, di perdere né la guida del governo né la segreteria del partito. Ma la faccia si. E per un leader quale lui si considera, a livello nazionale e internazionale, girando come una trottola per il mondo a vendere la sua immagine, perdere la faccia è forse anche peggio che perdere il posto.

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Per quanti sforzi abbia fatto furbescamente di annebbiare la scena, delegando i contatti con i grillini, se non li vogliamo chiamare negoziati, al capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda e alla ministra delle riforme e dei rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, modestamente presentatasi però in queste circostanze solo come una parlamentare desiderosa di dare un contributo costruttivo all’approvazione di una legge meno divisiva possibile, Renzi si è esposto in realtà molto più del dovuto e dell’opportuno. Molto più di quanto avesse fatto a suo tempo cedendo ai grillini un seggio prima al Consiglio Superiore della Magistratura e poi alla Corte Costituzionale per uscire dall’impasse in cui erano caduti l’uno e l’altra.

Egli ha preferito cercare sulle unioni civili un accordo più all’esterno che all’interno della sua maggioranza di governo, e delle appendici costituite dai fuoriusciti da Forza Italia. E si è persino intromesso di fatto nelle dispute regolamentari sul ricorso al voto segreto nell’aula di Palazzo Madama con l’aria di contestare le interferenze attribuite dalla sinistra, e persino dai vertici parlamentari, al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale. Colpevole di avere non preteso, essendo ben consapevole delle competenze o prerogative altrui, ma solo “auspicato” un voto al Senato il più libero possibile, e perciò segreto, su una materia così sensibile.

Anche l’auspicio è proibito in Italia ad un cardinale, purtroppo contestato anche da un arcivescovo subordinato, Nunzio Galantino, presunto prelato di fiducia del Papa. Un auspicio talmente insopportabile, per gli occhi e lo stomaco della sinistra militante, da giustificare come reazione, o quasi, il ricorso ad espedienti regolamentari chiamati canguri per evitare il maggior numero possibile di votazioni, segrete ma anche palesi. Espedienti, a loro volta, talmente sfacciati che i grillini, già divisi pure loro sull’aspetto più controverso della legge, quello sulle adozioni da parte delle coppie omosessuali, non se la sono sentita di prestarvisi. Altro che voltagabbana, come li hanno chiamati dalle parti del Pd.

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Nelle more della pausa concordata fino al 24 febbraio, la lezione per Renzi dovrebbe essere già chiara. L’eccesso di furbizia, e disinvoltura, non è meno dannoso dell’ingenuità. Ma ciò vale, francamente, anche per il neurologo Massimo Gandolfini, protagonista del recente raduno al Circo Massimo in difesa della famiglia tradizionale. Che è tornato praticamente a sfidare pure su Formiche.net il ministro dell’Interno Angelino Alfano a dimettersi e provocare la crisi di governo, piuttosto che subire la legge Cirinnà, neppure amputata -mi sembra-  delle adozioni pretese anche per le coppie omosessuali.

Si continua a reclamare da Alfano ciò che neppure la Dc di Amintore Fanfani, Aldo Moro e Giulio Andreotti volle o potette fare contro la legge sul divorzio, per cui l’opposizione dal Parlamento si trasferì alle piazze e alle urne referendarie. Che diedero, è vero, ai no una sconfitta durissima. Forse non ripetibile però questa volta, vista l’impopolarità che con una incredibile autorete stanno procurando alle coppie omosessuali quanti ne sostengono persino le pretese genitoriali. Sarebbe anche per Renzi un referendum suicida, come a parti rovesciate fu per la Dc quello del 1974 contro il divorzio.

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