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L’euro, Schengen e l’Europa imbelle. Parla Sommella

giovanni, ROBERTO SOMMELLA, costituzione

Moneta unica in biloco. Schengen in crisi. Fissazioni anti debito. Nuova stretta in arrivo per le banche italiane con limiti ai titoli di Stato. Roberto Sommella, giornalista e saggista, in questa conversazione con Formiche.net, approfondisce i principali dossier che squassano l’Europa e lancia una proposta: “Perché non pensare all’individuazione di un unico hotspot (o al massimo due) nel Mediterraneo e in Continente che rappresenti per tutti coloro che scappano da guerra e fame la Ellis Island europea?”. Ecco temi, critiche e idee.

Sommella, con lo sfondamento del confine macedone Schengen è finito?

No. Senza Schengen l’euro non ha senso. Anche solo indebolire il Trattato sulla libera circolazione degli individui – nella versione che vorrebbe la Germania e cioè limitarlo a pochi Paesi ritenuti affidabili del Nord Europa – significa rendere privo di senso lo stesso euro. Schengen, come Maastricht e come il Trattato di Roma, è base fondante dell’Unione Europea, rappresenta la Costituzione materiale dell’Ue. Sospenderlo, o semplicemente incrinarlo, anche sotto l’emozione di quello che sta accadendo nelle rotte balcaniche, comporta mettere in discussione il motivo fondante del vivere nello spazio europeo perché i capitali sarebbero senza frontiere e le persone no.

Queste sono parole. Di fatto una media prossima al 20% nei Paesi europei è contro questa Europa.

L’Unione terrà. Se franano le frontiere avremo solo due possibilità: il ritorno ai dazi o una guerra. Lo hanno ribadito Juncker e, a modo suo, anche Angela Merkel, che hanno appena incontrato Renzi. Saremmo i primi coinvolti. Il fronte italiano nel Mediterraneo non reggerebbe e crollerebbe sotto il peso degli arrivi. Il milione e 200.000 arrivi in Germania rischierebbe in parte di finire da noi. Per questo non c’è soluzione che andare avanti.

Qualcuno vorrebbe una Unione a due velocità comunque. A cominciare forse dai tedeschi.

Può essere. Ma i fatti, che vanno ricordati a Berlino, sono questi. L’integrazione europea, dal punto di vista economico, è soprattutto retta da Trattati internazionali ma non ancora europei e da Regolamenti. Sono il Fiscal Compact e il Six Pack, che regolando in modo pro-ciclico la possibilità di indebitamento dei paesi dell’Eurozona, di fatto hanno peggiorato la recessione. A questo si aggiungono la direttiva sui salvataggi bancari (il Bail in) e l’Unione bancaria. Quest’ultima poggia su tre gambe fondamentali: la Vigilanza centralizzata (attuata), il Meccanismo di risoluzione delle crisi creditizie (appunto il Bail in, attuato ma a livello disomogeneo e con eccezioni nell’Ue) e la Tutela centralizzata dei depositi. Berlino e i suoi alleati del Nord Europa sono contrari alla tutela dei depositi comunitari fin quando non verranno messi paletti al debito pubblico dei Paesi e all’acquisto dei bond sovrani.

Bce e Commissione hanno smentito questa direzione.

Vedremo, anche se la scelta dipende dal Comitato di Basilea. Dobbiamo stare in guardia: ridurre i rischi, ad esempio quelli legati all’emissione di Btp, Bonos o Bund, senza condivisione del debito e senza un Tesoro europeo che emetta eurobond, e soprattutto in controtendenza con le politiche espansive della Bce, significa creare un euro di fascia A e un euro di fascia B.  Così come non avere una tutela unica dei depositi in presenza di leggi che prevedono l’autosalvataggio, comporta che ciascun europeo abbia nel suo conto corrente una moneta di fascia A o di fascia B, a seconda dello stato di salute della sua banca.

Quindi?

Quindi su questo punto Germania e alleati devono essere chiari: vogliono rispolverare il progetto, poi accantonato nel 2012, di un euro a due velocità o stanno solo prendendo tempo per andarsene?

Magari chiudendo pure le frontiere dopo tanti discorsi della Merkel.

Non credo. Il caos generatosi in Europa dalla combinazione del flusso degli immigrati con la paura che sta ingenerando nei governi e nei cittadini la successione degli attentati terroristici di matrice Isis, mette a nudo la mancanza di politica estera univoca dell’Unione Europea. Dopo gli attentati a Parigi e quelli che hanno coinvolto la Germania e la Turchia, snodi cruciali dell’immigrazione già integrata e di quella che vuole pacificamente integrarsi, senza un’immediata identificazione di pochi e chiari approdi europei (hotspot) e la collaborazione dei Paesi dell’Unione allargata – che oggi sembrano solo prendere dall’Ue senza dare nulla in termini di solidarietà – sarà quasi ineluttabile il ritorno alle frontiere. Soprattutto se si considera la spinta dei tanti partiti nazionalisti e il biennio 2016-2017 denso di appuntamenti elettorali importantissimi (politiche spagnole forse di nuovo alle porte, amministrative italiane, presidenziali francesi, referendum inglese sulla Brexit, per non dire della Grexit sempre incombente). Perché non pensare allora all’individuazione di un unico hotspot (o al massimo due) nel Mediterraneo e in Continente che rappresenti per tutti coloro che scappano da guerra e fame la Ellis Island europea?

Cos’altro cambia per evitare che tutti preferiscano l’anciene regime in Europa?

L’Europa, a 14 anni dalla nascita dell’euro, vive il suo momento di massima impopolarità. L’Unione ha comportato molti vantaggi ma non per le fasce più deboli della società e le istituzioni di Bruxelles sembrano lontane anni luce dai 500 milioni di persone che dovrebbero amministrare. Occorre indire subito, in previsione dei 60 dal Trattato di Roma, una grande Conferenza che stabilisca tre cose: la redazione di una Costituzione Europea, il rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, la riforma della legge elettorale con espressa scelta del Presidente della Commissione da parte dell’elettorato. Solo così si riuscirà a passare dall’attuale Confederazione ad una vera Federazione di Stati. Resta anche sul tappeto il nodo, non irrilevante, della necessità di avere anche una lingua comune europea.

Molti temono una nuova crisi del debito.

A parte le dispute, il 3% di rapporto deficit-Pil e il 60% del tetto di rapporto debito-Pil sono ormai anti-storici. Il primo, violato più volte da Francia e Germania all’inizio del Millennio, ha dovuto trovare la foglia di fico della ‘’flessibilità’’ concessa da Bruxelles legata alle emergenze (prima la crisi, poi i migranti e poi le spese anti-terrorismo) per essere di fatto sospeso, salvo i diktat improvvisi di Bruxelles sulle leggi finanziarie nazionali. Il secondo è bypassato pressoché da tutti ma ingabbiato nelle maglie del Fiscal Compact. E’ arrivato il momento di sospendere tutte le diavolerie contabili che stanno diventando incomprensibili (deficit strutturale, deficit al netto del ciclo, squilibri economici) agli stessi addetti ai lavori comunitari che controllano i bilanci di 28 paesi, 19 dell’Eurozona. Perché non tirare una linea e ripartire da una grande Conferenza sul debito, in stile Bretton Woods?

L’Italia dal super debito è al riparo?

Concordo con Marco Fortis di valutare il debito implicito oltre quello esplicito che ci fa diventare virtuosi, come anche il basso tasso di indebitamento consolidato rende l’Italia più forte, ma non illudiamoci: questi parametri non entreranno mai nei Trattati e resteranno solo nelle pagine degli uffici studi, oltre ad essere pericolosi anche per noi, perché indurrebbero il governo ad avere un atteggiamento lassista sul fronte del taglio della spesa inutile. L’Italia è molto più solida di quanto sembri, ma questo lo dobbiamo agli italiani, non a chi ha governato senza ridurre debito e sprechi. Quindi c’è una sola strada maestra: tagliare il debito e la spesa inutile.

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