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Vi racconto cosa si dice tra i musulmani a Roma delle stragi Isis

Torpignattara

È venerdì di Pasqua e la porta di Santa Maria Maggiore è meno sacra. All’ingresso, nuovi metal detector costringono i fedeli ad una lunga attesa prima di entrare al tempio. Dopo gli attentati a Bruxelles, il terrore ha invaso le principali città europee. Lo stato di allerta è massimo. “Oggi è venerdì santo, vero? – chiede una donna con lo hijab ad un ragazzo -. In questi giorni bisogna stare attenti, fratello. Con gli occhi ben aperti. Buona preghiera”.

Da Termini, bastano 25 minuti per arrivare a Torpignattara, il quartiere romano con più sala di preghiere musulmane a Roma. Quattro anni fa ce n’erano soltanto due, oggi sono 20. Sulla Via Casilina, accanto ad uno storico pescivendolo gestito da un italiano, c’è un macellaio di “carne halal”, quella permessa perché rispetta i principi religiosi e igienici indicati dall’Islam sulla produzione e conservazione. Dicono che Roma, a differenza di Bruxelles e Parigi, si salva dall’estremismo islamico grazie a quell’intreccio socio-culturale, e anche urbanistico, che evita la ghettizzazione dei quartieri multietnici. Torpignattara non sembra Molenbeek, ma chissà per quanto… In una piccola tv, al “macellaio halal”, tutti i musulmani guardano i commenti e le immagini sulla strage a Bruxelles.

 

L’ASSOCIAZIONE DHUUMCATU

“Non tutti i musulmani sono terroristi che si fanno le bombe a casa per uccidere gente. Si fa di tutta l’erba un fascio, ma non siamo animali”, sottolinea Batchu, bengalese e musulmano, residente a Torpignattara. Al civico 525 della Via Casilina, ha una scrivania sovrastata di bollette, documenti e lettere. È sempre connesso a Facebook. Ha molte finestre della chat aperte. Sono tutte richieste della comunità musulmana del quartiere. Lì funziona l’Associazione Dhuumcatu: “Abbiamo una donna incinta alla quale non è stato rinnovato il permesso di soggiorno e deve andare via. Un bambino di due anni al quale non vogliono rinnovare la tessera sanitaria. Qualcuno nel quartiere ci aiuta, sì, ma dopo gli attentati ora credono che siamo tutti terroristi”.

IMPARARE L’ISLAM

Batchu fa parte della comunità che gestisce la sala di preghiere Masjid-e-Rome and Madrasah, una delle 20 del quartiere. Ogni settimana, il locale è visitato da circa 1000 persone. Tra 300 e 400 il venerdì, giorno della preghiera. Al piano di sopra ci sono bambini che giocano perché da quattro giorni non vanno a scuola per le feste di Pasqua. “Questa non è soltanto una sala di preghiera – spiega Batchu-. È anche un luogo per riposarsi quando fa troppo caldo o troppo freddo, un luogo di incontro della comunità”. Durante la settimana, invece, la struttura diventa una specie di dopo scuola per i bambini tra i 4 e i 10 anni. “Non è una vera ‘madrasa’ (scuola coranica, ndr), perché l’imam non ha le competenze religiose per insegnare il Corano a quel livello. Ma sì cerchiamo di iniziare i bambini nei regolamenti principali del Corano. A scuola imparano soltanto la religione cattolica, qui invece spieghiamo loro che esiste anche l’islam, l’ebraismo, il buddhismo e l’induismo. Insegniamo inglese, arabo, bengalese o pachistano. Poi, ogni uno scelga quello che vuole”.

SALA (NON SOLO) DI PREGHIERA

La sala di preghiera Masjid-e-Rome and Madrasah è frequentata principalmente da bengalesi, ma ci sono anche pachistani, marocchini e libanesi. “Cerchiamo di monitorare la sala, ma non penso che esiste un collegamento tra i praticanti musulmani e i terroristi. Nessuno degli attentatori dall’11 settembre all’altro ieri era un musulmano praticante che pregava cinque volte al giorno e rispettava le regole del Corano”, insiste Batchu. “Non è un problema del Corano – aggiunge -. L’ape prende dal fiore il polline per fare il miele e il ragno invece lo fa per fare il veleno. Ma nulla di tutto questo è colpa del fiore. Così come non è colpa del Corano. Nessuna religione dice che devi andare ad uccidere gli altri. Non si può attaccare una religione. Stanno strumentalizzando la situazione”.

LA MINACCIA IN LIBIA

Sul piano politico, Batchu crede che gli attentati di Bruxelles, così come Parigi e le Torre Gemelle, sono stati “telecomandati” per giustificare l’invasione di alcuni Paesi. “L’Irak e l’Afghanistan sono stati devastati in nome della democrazia. Ma Tareq Aziz era cattolico. La religione musulmana non c’entra”, è l’opinione (molto personale) Batchu. E conclude: “Gli attentati di Bruxelles vogliono sicuramente giustificare nell’opinione pubblica l’intervento militare in Libia per andare a eliminare tutti i terroristi che da lì arrivano in Europa attraverso l’Italia”. Quando ci salutiamo, Batchu ci tiene ad augurarmi buone feste di Pasqua. A me e a tutti i fedeli cristiani. All’angolo di fronte di Masjid-e-Rome and Madrasah , una pattuglia della polizia sorveglia la zona all’ora della preghiera.

Foto Rossana Miranda

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