Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Petrolio, perché Rosneft dice che l’Opec è moribonda

“Al momento una serie di fattori oggettivi esclude la possibilità per tutti i cartelli di dettare la loro volontà di mercato. Per quanto riguarda l’Opec, ha praticamente smesso di esistere come organizzazione unitaria”. È una bomba quella sganciata alla Reuters da Igor Sechin, Ceo del gigante statale russo Rosneft, intimo di Vladimir Putin, e per questo finito sotto sanzioni americane collegate alla crisi ucraina.

LA FINE DELL’OPEC

L’Opec, ossia l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, è la realtà che per anni, sotto la forte influenza saudita, ha veicolato le dinamiche attorno al mondo del greggio, decidendo più o meno apertamente prezzi, produzioni, esportazioni, contratti. Adesso, secondo Sechin, lo schema non regge più: “Al momento, i fattori chiave che stanno influenzando il mercato sono la finanza, la tecnologia e la regolazione. Possiamo vedere questo con l’esempio dello shale oil, che è diventato un potente strumento di influenza sul mercato globale”. Gli shale sono giacimenti di scisti bituminosi intrappolati in profondità all’interno della stratificazione rocciosa: il petrolio ottenuto è definito non convenzionale, perché il processo estrattivo non prevede l’attingimento tramite un pozzo in un reservoir, ma è tirato fuori attraverso processi di pirolisi, idrogenazione o dissoluzione termica dell’ammasso roccioso. L’importante produzione di olio e gas di scisto ha permesso agli Stati Uniti di arrivare a livelli di indipendenza energetica, questione che è in parte dietro al disimpegno americano in Medio Oriente e a cui si lega la volontà dell’Arabia Saudita di mantenere alte le produzioni. Una grande quantità di estrazione permetterebbe infatti a Riad di ottenere prezzi del greggio bassi, in virtù della legge di mercato domanda/offerta, mettendo in crisi i produttori di shale oil, in quanto la tecnica estrattiva è molto più costosa della convenzionale, e il bene ha dunque necessità di prezzi e ricavi più alti.

MANTENERE LE QUOTE DI MERCATO

Allo stesso tempo i sauditi vogliono mantenere alte le produzioni per evitare che fette di mercato possano sfuggire al proprio controllo, per colpa dell’ingresso di altri attori. Dopo l’abolizione da parte del Congresso di un divieto in piedi dal 1970, l’America ha iniziato l’esportazione via mare di gas estratto sempre dagli shale: a fine aprile la nave “Creole Spirit” ha portato in Portogallo il primo carico di gas naturale liquefatto (Gnl) americano, destinato alla società portoghese Galp, che rappresenta l’avvio delle forniture energetiche degli Usa all’Europa, un passo storico che interessa allo stesso modo anche il petrolio. Contemporaneamente Washington spingendo per la firma dell’accordo sul nucleare iraniano ha riqualificato diplomaticamente Teheran, che senza più sanzioni internazionali è tornato un attore importante anche sul mercato dell’energia.

L’ACCORDO SALTATO

A metà febbraio durante un incontro in Qatar, i delegati russi e sauditi avevano trovato una sorta di quadra sulla possibilità di congelare le produzioni secondo i valori, già alti, di gennaio 2016. L’accordo avrebbe dovuto ricevere la ratifica finale due mesi dopo, durante un vertice Opec (in cui era stata invitata anche la Russia, sebbene non membro) sempre a Doha, che però si è concluso con un nulla di fatto proprio perché Riad aveva posto come conditio sine qua non che l’accordo di congelamento venisse siglato anche dall’Iran. Ma la Repubblica islamica vive un periodo di particolare mobilitazione e assertività sul mercato, e non ha rinunciato ad aumentare le quantità di estrazioni (anche se a breve potrebbero esserci per Teheran dei problemi legati alle necessità di ammodernamento degli impianti, per cui sarà difficile reperire fondi ed investimenti, dato che è ancora scarsa la propensione degli istituiti di credito internazionali ad aprire linee di finanziamento in Iran). Sullo sfondo, le rivalità geopolitiche tra Iran e Arabia Saudita per il controllo della regione mediorientale, e quelle ideologiche, tra la Repubblica islamica sciita e il regno capofila dei paesi sunniti nel mondo.

RIAD PAGA IL PREZZO DI UNA SITUAZIONE SPINTA AL LIMITE

Sechin, nonostante il beneplacito del Cremlino all’accordo preliminare siglato con i sauditi, aveva da sempre mantenuto posizioni scettiche, pressando sul fatto che a Riad non c’era più capacità di influenzare le dinamiche di mercato. “L’Opec ha praticamente smesso di esistere come organizzazione unitaria”, sostiene alla Reuters il manager russo. L’organizzazione è in effetti divisa, con l’Arabia Saudita che, portando i prezzi a minimi storici, ha spinto all’estremo la situazione facendo storcere il naso anche a nazioni che negli anni passati erano completamente allineate dietro al regno; per non parlare della forte opposizione che arriva da Iran, Venezuela e in parte anche dall’Iraq. A Riad se ne sono accorti di non poter più maneggiare la materia a piacimento, e anche per questo hanno avviato la politica di differenziazione economica inclusa nel pacchetto di riforme “Vision 2030”, che però non si svincolerà del tutto dal mondo del petrolio.

DICHIARAZIONI DA PESARE

Tuttavia dichiarazioni come quelle di Sechin sono da tarare dalla propaganda. La Russia ha necessità di ottenere che il prezzo del greggio in qualche modo si alzi, perché alle esportazioni di petrolio (e di altri prodotto energetici come il gas, su cui si gioca un altro dei piani di contrasto con gli Stati Uniti) vincola gran parte della spesa pubblica. La Banca centrale russa ad ottobre del 2014, pochi mesi dopo l’inizio della crisi ucraina, sotto i primi effetti delle sanzioni internazionali conseguenti, e nel corso di una forte svalutazione del rublo, aveva delineato gli stress test collegandoli ad un prezzo del petrolio fissato a 60 dollari al barile: ora Tass, l’agenzia governativa, festeggia per i 49 dollari raggiunti lunedì 16 maggio, picco dal novembre del 20015; figurarsi dunque la situazione delle casse statali di Mosca.

×

Iscriviti alla newsletter