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Come litigano May e Davis su Brexit e immigrazione

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“Questo governo sta esaminando tutte le opzioni, ma la semplice verità è che se un requisito di appartenenza [al mercato unico europeo] chiede in cambio il controllo delle nostre frontiere, penso che renda [l’appartenenza] molto improbabile”, ossia, se dobbiamo cedere sull’immigrazione allora tanto vale stare fuori dal mercato unico: lo ha detto David Davis, il segretario alla Brexit nominato dalla neo prima ministro inglese Theresa May, mentre alla Camera dei Comuni teneva il primo discorso ai legislatori sul procedere del suo lavoro e spiegava alla Tory europeista Anna Soubry quelle che secondo lui sarebbero state le prossime mosse del governo – tra queste, un sistema di controllo dell’immigrazione “più rigoroso”, per esempio, e Davis ha parlato anche di una riflessione in atto all’interno del governo sull’idea di permettere ai cittadini dell’Ue di accedere in Gran Bretagna solo dimostrando di avere un’offerta di lavoro.

È dovuta intervenire la portavoce del governo Helen Bower per metterci una pezza e sedare l’ira di May, “è un’opinione personale” non è la linea politica. Davis già a metà luglio aveva espresso il concetto in un’intervista al domenicale del Daily Mail dalle cui colonne spiegava la necessità di trovare un accordo con l’UE che permetta alla Gran Bretagna di far parte del mercato unico europeo e al tempo stesso di controllare i propri confini e ridurre l’immigrazione: Londra potrebbe stabilire una data oltre la quale non lascerà più entrare liberamente immigrati, neppure dai Paesi della Ue, anche prima che gli accordi per la Brexit siano conclusi, faceva capire, salvo poi tornare indietro a bomba sganciata, spiegando che “faremo un accordo generoso per gli immigrati che ora sono qui e per i cittadini britannici che risiedono in Europa”. Lunedì è tornato sulla questione rispondendo a un’interrogazione della laburista euroscettica Kate Hoey (una che sosteneva che lasciare l’UE sarebbe stata una “left-wing move): “Vogliamo avere accesso al mercato unico”, ma “non abbiamo bisogno di essere un membro di esso per farlo”.

Davis, 67 anni, ex operatore dello Special Air Service, le forze speciali aviotrasportate di sua maestà, si porta addosso già settimane di critiche perché è accusato di non essere in grado di fornire dettagli su quello che il suo dicastero sta facendo: “Forse perché non fanno proprio niente” commentano fonti inglesi vicine ai laburisti, “e infatti sono arrivati in parlamento senza un piano da poter spiegare”. Affermazioni in linea col partito: Yvette Cooper del Labour ha parlato di “dichiarazioni vuote”; tra l’altro la deputata ha chiesto se il governo aveva maturato la decisione sul se restare o meno tra i membri di Europol, il sistema di sicurezza congiunto europeo, ma non ha ottenuto risposte chiare. Gli stessi conservatori hanno espresso critiche, comunque: Soubry ha detto che il momento di “Brexit significa Brexit” (slogan che ha caratterizzato l’insediamento di May) “è scaduto ed è arrivato il momento di entrare nei particolari”. Secondo l’Independent le dichiarazioni di Davis rappresentano “le più profonde crepe nel gabinetto di Theresa May”, e la stessa Bower alla domanda dei giornalisti sul se Davis avesse parlato a nome del governo, mentre negava, ha dovuto ammettere anche che ci sono “diverse posizioni” all’interno dell’esecutivo. Davis non sarà la linea politica, ma anche la stessa May al G20 cinese aveva accennato a preferire un sistema per l’immigrazione basato sul merito, tipo un contratto di lavoro, che quello a punti (nota preventiva anti-complotti a proposito del G20: la prima ministro inglese non è stata posizionata ai margini della foto ufficiale come rappresaglia diplomatica post Brexit, come ha spiegato il Guardian a fronte delle migliaia di commenti piovuti in Gran Bretagna a proposito).

Anche nel bollettino sulla Brexit della Bloomberg si critica l’esecutivo per l’assenza di una strategia su come procedere: “Davis dice di avere 180 persone nel suo staff interno a Londra e altre 120 a Bruxelles, quello che non ha però è un piano”. Per ora, dice l’analisi dell’agenzia newyorkese, l’unica cosa chiara è che l’immigrazione è il punto in cima alla lista (e d’altronde è uno dei temi che ha spostato più voti al referendum). Poi c’è l’aspetto commerciale ed economico (vedi infografica).

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L’incertezza, soprattutto quella legata al vincolante e intricato tema dell’immigrazione, è ciò che pesa di più sul futuro inglese – tanto che Goldman Sachs ha assunto come consulente di lusso per la questione Brexit José Barroso, presidente della Commissione europea fino al 2014, facendo alzare i radar su possibili conflitti di interessi vista l’influenza di cui ancora gode. Secondo il Guardian un prezzo lo hanno già pagato le università inglesi: per le prima volta negli ultimi 12 anni Cambridge è uscita dalle prime tre posizioni del QS World University Ranking sui migliori atenei. Per il quotidiano inglese a pesare sullo scivolamento in classifica, che ha interessato altri 37 altisonanti istituti (alcuni esclusi dalle prime 400 posizioni) è proprio l’incertezza sulle regole future per l’ingresso nel paese e su quelle del finanziamento per la ricerca.

BONUS: IL MURO

Sempre sul tema migranti, pallino del momento per il governo inglese: la Gran Bretagna ha raggiunto un accordo con la Francia per costruire un muro anti-immigrati clandestini a Calais, e sarà il governo di Londra a pagarne il costo. La struttura – cemento armato liscio per 4 metri di altezza, impossibile da scavalcare, lunga oltre un chilometro, un costo di quasi due milioni di sterline – sarà eretta a difesa alle vie di accesso automobilistiche e ferroviarie al tunnel sotto la manica e girerà attorno “The Jungle”, il famoso campo di accoglienza nella cittadina francese da cui i rifugiati hanno cercato più volte di entrare in UK, anche con metodi violenti.

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