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Avviato percorso di qualità: Studente al centro (?!) Se o solo se!

Registro con grande favore le dichiarazioni del ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini sui primi dati del Piano straordinario di ispezioni nelle scuole paritarie: si dichiara avviato un piano di qualità per valorizzare chi lavora bene e si notifica con comunicato stampa che, nei primi 6 mesi del 2016, sono state visitate 288 istituzioni scolastiche, soprattutto di II grado. Qui, effettivamente, le scuole “a piramide” non sono mai piaciute a nessuno: sono i cosiddetti “diplomifici”, con pochi alunni nelle prime classi e tanti in quinta. La parità è stata revocata al 9% delle scuole visitate (27 revoche) e sono aumentati da 56 a 104 gli ispettori, che in 145 casi hanno rilevato delle anomalie da sanare. È segno – voglio crederlo fino a prova contraria – che si è trattato di ispezioni serie, che hanno davvero, senza alcuna ideologia, puntato alla chiusura dei “diplomifici”, i quali non hanno mai fatto piacere né alla scuola statale né alla scuola paritaria. Soltanto se azzeriamo questa partita potremo parlare seriamente di pluralismo educativo, e quindi di comparto di scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria, dove la famiglia potrà esercitare liberamente la propria scelta. Guardo quindi con positività e con plauso a questo punto della Legge 107/15 che si è avuto il coraggio di portare a compimento.

Da sempre sono stata una sostenitrice della valutazione della meritocrazia, perché essa non costituisce un attacco alla scuola tutt’altro, pone al centro lo studente. Mettiamo in ordine le questioni: lo studente al centro; la responsabilità dell’educazione in capo alla famiglia, che deve esercitarla in un contesto di libertà di scelta educativa, e dunque in un pluralismo educativo fatto di scuola pubblica statale e di scuola pubblica paritaria. Mentre la prima è gestita dallo Stato, quest’ultima è gestita da enti di promanazione dello Stato e da soggetti privati che hanno la parità e l’accreditamento, e dunque fanno parte del comparto pubblico. I privati, i “diplomifici”, le scuole “a piramide” non piacciono a nessuno.

Non posso che dire grazie per questo passo così positivo. Infatti, se da un lato al 9% delle scuole è stata tolta la parità, dall’altro ci sono 145 scuole a cui sono state fatte delle raccomandazioni per mettersi in regola. Molto bene! Nessuno potrà più dire che la scuola paritaria è la scuola privata, dei ricchi per i ricchi, dove ci si compra il diploma. Plaudo a un Ministero che ha avuto il coraggio di avviare un simile processo, che non è semplice e scomoda parecchio, ma che non può non avere l’approvazione delle scuole paritarie serie e delle scuole statali serie. Io stessa ho lamentato che, se la buona scuola la fanno i buoni docenti, la recente infornata di 100 milioni di docenti – i quali peraltro hanno lasciato 2500 cattedre vuote a Milano e bambini portatori di handicap senza sostegno – è stata una macchia al sistema scolastico italiano. Tuttavia riconosco che le GaE andavano svuotate. Ora mi auguro che, sanato un passato negativo, si proceda celermente verso una Buona Scuola Pubblica Statale e Paritaria.

Ricordiamo, dunque, i punti fondamentali: lo studente al centro e la responsabilità educativa in capo alla famiglia. Questa responsabilità non può essere assunta senza libertà di scelta educativa e tale libertà si esercita in un comparto di scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria (altrimenti non c’è scelta). Entrambe devono godere, però, di autonomia, meritocrazia e valutazione, tanto sulla scuola quanto sui docenti (perché la buona scuola la fanno i buoni docenti). Abbiamo dimostrato che la chiusura dei “diplomifici”, oltre a sanare una piaga sociale italiana che generava degli ignoranti, libera risorse. Abbiamo altresì dimostrato che introdurre le stesse leve nel comparto della scuola statale migliorerà il rendimento dei nostri studenti in tutta Italia e che la Legge 107/2015, laddove parla di valutazione, meritocrazia, buona scuola e chiusura dei “diplomifici”, ha però ancora bisogno di superare il vincolo economico di accesso alla scuola, sia statale sia paritaria. Questo è l’unico anello mancante sia nella Legge 62/2000 sia nella Legge 107/2000.

Noi, umilmente ma tenacemente, abbiamo consegnato al Governo e al Ministro un saggio “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento” Ed. Giappichelli 2015 (recante, peraltro, la prefazione del Ministro stesso, e ciò è lodevole) che contiene la soluzione: si tratta del costo standard di sostenibilità per allievo, che può essere introdotto parallelamente ai processi di valutazione, meritocrazia e formazione dei docenti.

Se inneschiamo una buona concorrenza tra scuola pubblica statale e paritaria sotto lo sguardo garante dello Stato, non soltanto assicureremo alla famiglia la possibilità di esercitare liberamente la sua responsabilità educativa, ma lo Stato italiano risparmierà moltissimo, riducendo lo spreco, non ci saranno cattedre vuote né bambini portatori di handicap privi di docente di sostegno e il sistema scolastico sarà di qualità. Lo ha dimostrato l’Europa, dove noi siamo la più grave eccezione; lo ha dimostrato il mondo, dove noi arriviamo solo al 47° posto (addirittura, a Mosca si sceglie, in Italia no).

Riconosco, pertanto, il segnale positivo espresso dal comunicato stampa del Ministro Giannini e del Sottosegretario Toccafondi: finalmente si è avuto il coraggio di riconoscere e chiudere i “diplomifici”, effettuando controlli seri e onesti. Non bisogna, però, fermarsi, ma proseguire, garantendo la libertà di scelta educativa attraverso il costo standard di sostenibilità. Questo è l’unico strumento economico-fiscale che può realizzare quanto la Legge 107 ha dichiarato e rappresenta, peraltro, un elemento fondante qualsiasi scelta nella legge di stabilità (che sia la deduzione, la detrazione, il vaucher alla famiglia), se si vuole evitare il rischio della non sostenibilità. Come ogni ministro sa bene, una buona idea, per poter essere realizzata, deve essere sostenibile, con risorse umane, psicologiche e con forze ecomomiche.

La politica dei piccoli passi non basta: ai cittadini, cui appartiene il diritto alla libertà di scelta, ma non la possibilità di esercitarlo a causa di un vincolo economico, occorre rivolgersi con il coraggio dei politici di un tempo, i quali facevano della cultura il punto d’appoggio delle loro buone idee, che non potevano non essere accolte. Quindi, coraggio! Noi ci siamo.

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