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Il virus nel pallone. L’impatto sull’industria del calcio. Analisi di Scandizzo e Calvosa

Di Pasquale Lucio Scandizzo e Gianluca Calvosa

L’emergenza del Covid 19 ha creato un contesto del tutto nuovo per lo sport-spettacolo e il suo impatto sull’industria del calcio è ancora in una fase embrionale di cui è difficile prevedere gli sviluppi successivi. In ogni caso, essa sta già comportando effetti negativi del tutto straordinari sull’industria globale del calcio. E ci si attende che, seppur mitigati per effetto della minore propagazione della pandemia e delle misure che verranno adottate per garantire lo svolgimento delle competizioni in condizioni di relativa sicurezza per gli atleti, i lavoratori dell’indotto e gli spettatori, tali effetti persisteranno per un certo periodo, e parte di essi assumeranno un carattere permanente.

Nel complesso, l’industria subirà un’inevitabile riduzione degli introiti (che potranno essere riassorbiti nel tempo e attraverso adeguate politiche di prodotto e di marketing) che renderà insostenibile il già fragile equilibrio pre-crisi. Ed è altrettanto inevitabile che la riduzione degli introiti del settore nel suo complesso dovrà essere distribuito lungo la catena del valore per salvaguardare la struttura del comparto nel suo insieme e garantire la necessaria continuità di business. Tutto ciò determina una domanda che è alla base del dibattito odierno del settore (oltre ovviamente a quello relativo al riavvio delle competizioni sportive), ovvero: in che misura questa perdita può essere assorbita e come si distribuirà lungo la catena del valore?

Il problema maggiore per inquadrare economicamente la sorte presente e futura dei club consiste nella irrisolta contraddizione tra una attività economica di produzione di spettacolo, analoga a quella della industria dei media (con la quale condivide gli aspetti di economia delle superstar – vedi articolo qui) e una attività di vendita di performance, ossia di intermediazione tra i calciatori, veri produttori, e il pubblico.

Nel primo caso la creazione di valore può essere spiegata con la teoria del capitale umano. Considerando il giocatore come un bene produttivo chiave, la qualità e la performance dei giocatori possono essere considerate il contributo di fattori produttivi al valore del club come società produttrice. In questo caso si ritiene che la fonte di valore del club sia lo stock di potenziale produttivo sottostante dell’insieme dei suoi giocatori e degli altri fattori di produzione (dirigenti, tecnici, impianti) e che le prestazioni siano solo l’effetto visibile del dispiegamento delle capacità del giocatore nel contesto del suo club.

Nell’ipotesi di intermediazione, invece, i giocatori sono “artisti”, che producono performance che vengono commercializzate con l’aiuto di una pletora di intermediari, di cui i club sono solo un anello di una catena produttiva altamente differenziata e idiosincratica.

Il potere di mercato, ossia di fissazione dei prezzi, in condizioni di sostanziale oilgopolio nel primo caso viene esercitato essenzialmente dai club, mentre nel secondo caso appartiene soprattutto ai giocatori.

Queste ipotesi estreme si combinano nella realtà in una probabile via di mezzo: ossia per una parte esiste effettivamente una economia di produzione le cui imprese sono i club e i cui lavoratori sono i calciatori. Allo stesso tempo, in misura maggiore o minore a seconda delle circostanze, i giocatori si servono dei club per commercializzare direttamente e indirettamente il proprio capitale umano. Di fronte a una contrazione della domanda e/o dell’offerta (vedi l’attuale crisi determinata dal Covid 19), la natura e i pesi di queste combinazioni sono destinati a cambiare, e questi cambiamenti hanno implicazioni importanti per gli equilibri al ribasso che inevitabilmente seguiranno la emergenza attuale, ma anche per le misure di politica economica immediatamente necessarie.

I metodi basati sui valori storici di stima dei costi capitalizzano le spese del club per il reclutamento e la formazione dei giocatori. Secondo il metodo basato sul costo-opportunità, il valore del capitale umano in un’impresa emerge attraverso le transazioni in un mercato interno, dove il valore si crea attraverso abilità, sociabilità e competenze. I metodi di reddito economico si basano sulla teoria del capitale umano come valore attuale netto del contributo di un giocatore al profitto del club. Entrambi questi approcci suggeriscono che i club subiranno una riconfigurazione economica che tenderà a riallineare verso il basso i salari dei giocatori in linea con la caduta attesa dei ricavi e tenendo conto altresì delle incertezze economiche future.

Poiché la resistenza ad accettare tagli salariali caratterizzerà tutta l’economia, una componente del riallineamento dei prezzi dell’industria del calcio dipenderà dalla tendenza aggregata e dalla caduta attesa della domanda, a sua volta legata ad una straordinaria riduzione di potere di acquisto e ad una sostanziale riconfigurazione del paniere di acquisto delle famiglie. Benché l’effetto dei prezzi relativi sia incerto e malgrado la maggior domanda di prodotti televisivi, soprattutto i ricavi da botteghino potrebbero soffrirne, anche a ragione delle nuove norme di sicurezza. Ciò potrebbe portare al superamento della storica rigidità dei prezzi dell’industria del calcio che nell’ultima crisi del 2008 aveva consentito al settore di restare pressoché indenne dagli effetti che hanno colpito quasi tutti gli altri settori industriali. In altre parole, vista la portata della crisi, potrebbe non valere più, almeno in parte, la teoria del: prima il calcio e poi il resto.

Una seconda componente, tuttavia, dipenderà dal potere contrattuale dei calciatori nel loro complesso nei confronti dell’insieme dei club, tenendo conto del fatto che molte società sportive si trovavano in condizioni economiche difficili già prima della emergenza e che il debito complessivo del settore è già diventato praticamente insostenibile.

Il giocatori superstar, d’altra parte, che sono quelli con maggior potere di mercato e per cui è maggiormente applicabile il modello del performer che si serve del club come strumento di commercializzazione, sono paradossalmente proprio la causa maggiore del dissesto economico del settore. Essi potrebbero rinunciare a una parte dei loro privilegi e salari miliardari in cambio di contratti più lunghi e più stabili.

Più in generale, sebbene la crisi legata al Covid 19 stia producendo effetti negativi significativi nel breve-medio periodo, essa impone una riconfigurazione massiccia dell’intera filiera sportiva, con un riorganizzazione produttiva più organica, basata su ”fondamentali” produttivi di lungo termine, modelli più razionali di reclutamento, scambio e mobilità dei giocatori, infrastrutture adeguate e una finanza sostenibile.

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