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Perché immaginare una nuova conferenza sul Mediterraneo. L’analisi di Valori

La questione del Mediterraneo, in futuro, sarà realisticamente quella di dividerlo in zone di influenza, ma comunicanti tra di loro; e comunque tali da assorbire anche le tensioni geopolitiche e militari che si verranno a manifestare altrove. L’idea che il Mediterraneo possa essere ancora un piccolo  “lago europeo” è oggi del tutto da escludere, perché l’Ue, ma anche i singoli Paesi che la compongono, oppure la stessa Nato, hanno dimostrato di non saper tenere credibilmente nessuna zona del Mare Nostrum.

Date-chiave di questa dimostrazione di impotenza e, spesso, di franca e aperta scempiaggine, sono state la Seconda Guerra dei Balcani.

Come è noto, Tito, ovvero Josip Broz, muore nel maggio 1980. Lo scontro tra serbi e sloveni si manifesta subito nel congresso della Lega dei Comunisti Jugoslavi il 20 gennaio 1990, ma poi l’esercito, malgrado che la secessione delle varie repubbliche fosse contemplata dalla Costituzione titoista, come peraltro accade in tutte le Leggi Fondamentali derivanti dalla tradizione comunista della Terza Internazionale, interviene duramente in Slovenia.

Il resto lo sappiamo, ma qui ci interessa vedere come tutto si concentra e si fonde in questo conflitto: la radicalizzazione islamista, prima in Bosnia e poi in Kosovo, dove entrano fin da subito le petromonarchie e il jihad, spesso uniti tra di loro. L’ossessione per le “minoranze”, ingenuo dogma americanista, finirà quindi per frammentare l’Europa e ridurla poi a un carnevale di diritti o di staterelli sub-ottimali.

Nel ‘700 la Germania era costituita da 350 staterelli. Francia, Italia, Spagna, sono ormai oggi preda, oggi, di fortissime tensioni tra etnie, aree linguistiche, “nazioni” più o meno presunte.

Se questa frammentazione prosegue, insieme ad un rallentamento economico e giuridico della Unione europea, connesso alla fortissima immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente, l’Unione di Bruxelles sarà quello che l’Italia era nella mente di Metternich, ovvero “una espressione geografica”. Solo che, oggi, non ci saranno le truppe americane o di altri a salvarla dagli errori che si è scioccamente auto-inflitta.

Ecco, questo è il primo vero dato storico.

Il secondo è l’attacco occidentale, soprattutto europeo, alla Libia di Gheddafi del 2011. Un colpo di genio, per così dire, che la Francia mise in atto soprattutto contro l’Italia, il vero protettore della Libia del Rais. Raccolta dei jihadisti della Cirenaica, chiacchiere sui famosi “diritti umani”, che quando Gheddafi finanziava la campagna elettorale di Sarkozy non erano, evidentemente, un problema, quindi un altro tentativo di frazionamento di un sistema politico troppo grosso per il piccolissimo cervello dei decisori occidentali: prima la Jugoslavia, ora la Libia.

Ora, comunque, sarà bene dire basta. Occorrerà quindi ripensare il Mediterraneo in un altro modo, senza tentare di far crollare l’Eni nelle fauci della Total, o magari di trasferire le imprese tedesche in Slovenia o in Serbia, l’unico criterio vero, all’epoca, per la spartizione della ex-Jugoslavia. Non si tratta ogi di frazionare, ma casomai di unire.

Per riabilitare presto i Laender dell’Est, dopo la riunificazione, la Germania tenne molto alti i suoi tassi di interesse, rovinando i concorrenti europei. Bonn ha inoltre cercato lo smembramento della Serbia, mentre inglesi e francesi volevano utilizzare le clausole del Trattato del 1920. Fu proprio la Serbia a resistere fortemente, per ben due volte, al Reich tedesco. Queste cose contano, la memoria, per chi ancora la possiede, diversamente dagli italiani, è un criterio di giudizio anche per il presente.

Ecco la prima regola: far entrare nel Mediterraneo attori tali da contrastare i vecchi egemoni regionali europei.

La Cina? Anche, certamente. La Belt and Road Initiative comprende oggi 71 Paesi, che rappresentano la metà della popolazione mondiale un quarto del Pil globale. La vedo dura per gli Usa contrastare questo straordinario movimento di risorse e azioni strategiche. Siccome Washington non vuole sentire nemmeno parlare di 5G cinese, allora si tratterà di stabilire le aree di influenza delle due diverse tecnologie. Se gli Usa non ci staranno, potranno anche andare a rifilare le loro documentazioni del Servizio di tipo Five Eyes altrove, che sono comunque manipolate e spesso non del tutto rilevanti.

Per la sola Asia, la Banca Mondiale prevede un fabbisogno di investimenti di circa 26 trilioni di usd fino al 2030. Non pensiamo nemmeno di estrarre questa quantità di denaro per lo Sviluppo del Mare Nostrum da soli, noi poveri europei.

Quindi, si tratta in primo luogo di impostare una “Conferenza sul Mediterraneo”, breve e molto fattiva, non solo tra governi ma anche tra figure che, spesso, contano più dei governi, una Conferenza tale che ridisegni le linee della presenza di altre potenze vecchie e nuove nell’area del Mare Nostrum.

La Cina potrà, certamente, sviluppare i suoi progetti economici e infrastrutturali nel Mediterraneo, ma in un contesto tale da prevedere la presenza delle FF.AA. cinesi anche nelle operazioni di controllo e contenimento dell’immigrazione, clandestina o meno, tra il Sahel e tutta l’area sub-sahariana.

Facile definire i campi di azione: lasciamo quindi stare EUNAVFORMED, che con la sua recentissima missione Irini ha già dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno,  l’irrilevanza sine remedio della Ue. Niente navi, in questo caso, salvo una unità francese, con l’Italia che dice di stare arrivando presto, ma anche la Germania che si smarca ufficialmente e infine la Turchia che, ovviamente, fa di tutto per impedire la missione.

Quindi, l’Ue paga oggi il difetto che ha imposto, ieri, nella fase di destabilizzazione dell’Est sovietico: il continuo  frazionismo statuale e iper-statuale. Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Allora: in primo luogo, una forte conferenza per la definizione delle aree di influenza militari, e quindi delle possibili collaborazioni, nel Mediterraneo. Quindi, la Cina potrà muoversi in ambito sub-sahariano, ma per cosa? Per avere, ovviamente, la possibilità di sfruttare tutta l’area primaria sub-sahariana. E per proteggere la sue arre di sviluppo africane all’Est. Credo che Pechino accetterà. La Francia si potrà sorbire ancora la sua Francophonie africana. Certo, ma con una serie di meccanismi militari integrati, presenti tra la base di Gibuti, dove peraltro ci siamo anche noi, ma anche altrove, come in quella in Costa d’Avorio, oppure quella in Senegal, nel porto militare di Dakar e a Ouakam.

Qui, il meccanismo del Nuovo Trattato sul Mediterraneo prevederà una presenza parallela di Italia, Spagna, Usa, se mai ci staranno, e anche una possibile base russa in Costa d’Avorio. Certo, ormai tutto volge verso una nuova e stupidissima  guerra fredda, ma si spera che la razionalità, almeno quella poca e molto residua della Ue, si faccia sentire.

Cosa dovrebbe fare quindi la Federazione Russa? Intanto, Mosca è già a Berbera, sulle coste del Somaliland, ma si interessa anche all’Eritrea, poi c’è anche Cabo Delgado nel Nord del Mozambico, ma poi sono i russi anche nella Repubblica Centro-Africana, ma Mosca addestra anche le FF.AA. del Mali, del Niger, del Ciad, del Burkina Faso, della Mauritania.

Bene. Inutile piangere sul latte versato dal pacifismo tontolone degli europei.

Per la Federazione Russa, ci potrebbe però essere anche, nella nuova spartizione del Mediterraneo, una base navale in Cirenaica, ma meno rilevante di quella progettata insieme ad Haftar; e anche una nuova presenza economica di Mosca nelle coste occidentali africane, in Benin, a Capo Verde, in Senegal, in Sierra Leone e in Togo. Per le coste mediterranee, si può pensare ad una area specifica, ma ovviamente non esclusiva, di sviluppo dei russi, ma tra Egitto e Marocco. Nessuno avrà mai aree esclusive, nel Mare Nostrum, ma tutti i partecipanti al Nuovo Patto del Mediterraneo avranno una “zona di supervisione” per le loro aree di sviluppo primarie.

Per assicurare la stabilità militare dell’area, si può pensare anche (i soldi fanno le guerre, lo diceva  Napoleone) ad una Banca del Mediterraneo, che sarà integrata con le primarie Banche di Investimento dei Paesi partecipanti e che valuterà le proposte dei nuovi candidati. Sarebbe una buona ipotesi anche una sorta di “Comando Alleato Integrato del Mediterraneo” tra tutte le Forze presenti. Lo so benissimo che si tratterebbe di avere un Comando unificato con Russia e Cina, ma ci dicano, a Washington, se vogliono rimanere  seriamente nel Mediterraneo o se vogliono andarsene, come per la Nato secondo il presidente Trump, perché la questione è, ovviamente, essenziale.

Se, altrove, si pensa che il problema del Mediterraneo sia solo la sciatta teoria del “terrorismo”, allora lo si dica. Se, invece, si pensa che il tema sia più vasto e complicato, allora sarebbe bene che anche gli Usa partecipassero a un Comitato del Sud-Mediterraneo, non-Nato, con altri Stati e Organizzazioni.

La Spagna potrebbe, anche con questa Banca Mediterranea nuova, stabilizzare sia le sue antiche enclave, che entrare nel grande sistema sub-sahariano, tra Algeria e Marocco, storici punti di riferimento di Madrid. Per gli spagnoli il Sahel e il Golfo di Guinea sono essenziali, sia per la sicurezza militare  che per l’acquisto di idrocarburi. Per la Francia, ci sono poi in Africa 1100 società con oltre 2109 filiali. L’abbandono del Franco CFA in favore dell’ECO, è un momento storico, ma l’ECO sarà comunque stabilizzato rispetto all’Euro e garantito dalla Francia. Qui il problema è grave: o si fa anche una moneta “mediterranea”, che corre parallela alle divise locali (qui non faremo lo stesso errore dell’euro) oppure si programma un’area di cambi non fissi. Ma l’idea di una moneta secondaria  non sarebbe male.

Ma la Francia, ovviamente, non ci starebbe. Potrebbe anche essere, quella nuova e mediterranea, una semplice moneta di conto, che rimane nel Mediterraneo ma non è cambiabile in Africa sub-sahariana.

E l’Italia? Nel nostro Paese ci sono circa 30mila militari e civili Usa.

Il problema è che la crisi economica, innegabile, porterà ad una contrazione sub-ottimale del budget della Difesa italiana rispetto alle necessità Usa nel Mediterraneo. E anche alle nostre.

La Grecia non potrà essere certo essere un sostituto strategico, ma l’Italia ha ormai interessi ben diversi, ma non necessariamente contrastanti con gli Usa, rispetto al Mediterraneo.

Cosa fare, quindi, a parte la strategia della Nutella distribuita ai bambini? Semplice: scegliersi subito i propri proxies in Libia, ma temo sia troppo tardi, e poi pensare a una strategia operativa di penetrazione politico-economica nel Mediterraneo e quindi anche in Africa.

Dove? In Africa del Centro-sud, ma anche nella Confederazione Sud-Africana.

Quindi Sahel, dove peraltro si origina la maggior parte del movimento migratorio, poi ancora la lotta allo Islamic State in Suothern Sahara, infine la partecipazione italiana alla Forza Takuba, sempre tra Sahel e paesi confinanti, ma si tratta qui di una Forza con ROE, regole di ingaggio, di tipo europeo, quindi in questo caso  rimandiamo alla suaccennata Nutella.

L’Italia potrebbe, in uno sforzo ormai sovrumano di immaginazione strategica, passare dal Sahel e dai confini del Sudan fino alla Tunisia e alle sue aree vicine, evitando il caos libico, nel quale dovrebbe operare diversamente, e arrivare poi fino ai confini meridionali di Egitto, Marocco, Algeria.

In questa nuova divisione corretta di aree di influenza, l’Italia potrebbe occuparsi soprattutto di coste e di sicurezza del Mare Mediterraneo, mentre altri Paesi potrebbero interessarsi, ma non senza l’Italia, ovviamente, della industrializzazione “povera” e immediata delle coste sud del Mediterraneo.

E qui potrebbe venir bene sia il nuovo comitato per la sicurezza del Mediterraneo, composto da tutti i Paesi rivieraschi o comunque interessati al Mare Nostrum, sia la già citata  Banca del Mediterraneo, che può agire sia come finanziatore degli Stati rivieraschi che come sostenitore, a medio e lungo termine, delle imprese nazionali e internazionali presenti sul Mare Mediterraneo.

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