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Se oggi facciamo il tifo per Joker (e non Batman)

Dall’eroe della patria Captain America, “pensionato” dopo 80 anni, al narcisista, ossessivo e crudele Homelander. Da Batman, ricco e filantropo, a Joker, povero e bullizzato. Prima dell’assalto a Capitol Hill, i fumetti avevano anticipato i tempi. L’analisi di Igor Pellicciari, professore alla Luiss e all’Università di Urbino

Dà soddisfazione particolare riuscire ad unire utile e dilettevole sul posto di lavoro. Privilegio fugace, frutto di coincidenze occasionali e non replicabili. Difficile da trasformare in duraturo; quasi impossibile in permanente. Applicato alla ricerca, professione più incline alla dimensione dell’essere che dell’avere, l’obiettivo si raggiunge quando si riesce a studiare un oggetto che suscita passione autentica. Di quelle che rimandano all’infanzia; spesso accantonate col tempo, vittime dei compromessi della maturità.

Tra le letture più interessanti nei dilatati tempi pandemici a disposizione, vi è Fumetti e Potere di Andrea Silvestri (edizioni Npe), dettagliata analisi dei messaggi geo-politici dietro le gesta degli eroi dei principali comics degli ultimi decenni. Il libro ha il merito di stimolare il lettore, anche neofita, a confrontare senza timori reverenziali le tesi proposte con la propria personale esperienza di fiumi di strisce di fumetti accumulati nell’era pre-social media.

Tornarci dopo una lunga pausa per una rilettura non è soltanto operazione al contempo di spleen e revival nostalgico.
Permette di avanzare considerazioni politico-istituzionali a tutto tondo pur partendo da aspetti all’apparenza leggeri e pop. Ed è di questi giorni la notizia degli 80 anni di Capitan America, nato dalla penna di Jack Kirby e Joe Simon, tra i super-eroi più amati dell’universo Marvel del genio creativo di Stan Lee.

Di sicuro, quello che si è più personificato istituzionalmente con gli Stati Uniti, a partire dal nome fino al costume e all’inseparabile scudo, che riprendono la bandiera a stelle e strisce. Anche se nei decenni Capitan America ha subito varie trasformazioni e preso nettamente le distanze dal nazionalismo irriflessivo delle origini e già dagli anni ‘70 smette di immedesimarsi nelle scelte politiche delle amministrazioni Usa di turno, è rimasto un simbolo positivo portatore di alti valori morali e di un’identità nazionale senza macchia, sopra le parti.

L’analista di politica internazionale non è incuriosito tanto dalla concomitanza dell’anniversario di Capitan America con la sua uscita di scena nell’ultimo episodio degli Avengers, all’origine dello spin off The Falcon and the Winter Soldier. A colpire piuttosto è la comparazione di questa simbologia istituzionale con quella di un altro personaggio, protagonista assoluto della popolare serie televisiva The Boys, prodotta da Amazon e ispirata all’omonimo fumetto.

Si tratta di Homelander, il cui look ha molti punti in comune con quello di Capitan America. Dal costume che riprende ampiamente colori e forme della bandiera americana, al nome dal forte richiamo patriottico, all’aspetto fisico stereotipato su un modello classico americano: maschio, bianco, capelli biondi e corti, occhi azzurri, aspetto super atletico.

Le radicali differenze in Homelander stanno tutte nel profilo caratteriale del personaggio e nei messaggi di cui si fa portatore. Si tratta di un narcisista complessato, ossessivo e crudele, insensibile ed instabile, interessato solo a mantenere una sua falsa immagine pubblica da super-eroe a difesa del bene comune ma in realtà spietato con chiunque anche tra gli amici intralci i suoi piani di gloria e potenza. Il suo pensiero si manifesta con continue espressioni suprematiste, razziste e un’aperta simpatia per il periodo nazista (alle cui scoperte tecnologiche, peraltro, deve i suoi super-poteri).

Ma soprattutto – a dispetto dei proclami – non risponde alle logiche del governo americano ma a quelli di una multinazionale che lo controlla per promuovere solo i propri interessi, ovviamente oscuri.

Sorprende questa radicale inversione che ha subito in pochi decenni l’uso degli stessi simboli americani, in particolare di quello più sacro della bandiera, nel portare messaggi diametralmente opposti. Capitan America, nato nei lontani anni ‘40, è una promozione idealizzata senza zone d’ombra dei più tradizionali valori costituzionali del Land of the free.

Homelander, contemporaneo dell’America di Donald Trump (cui sembra fare spesso il verso), è una dissacrazione ai limiti del vilipendio delle stesse istituzioni USA; ben oltre quanto già osato da House of Cards con lo spietato personaggio di Frank Underwood.

E riporta alle atmosfere dark respirate nel Joker interpretato da Joaquin Phoenix, la cui improvvisa diffusa celebrazione umana nonché compassione simpatetica suscitata negli spettatori del film uscito nel 2019, rivela che anche nell’universo DC Comics è in atto una inversione dei tradizionali valori.

Il calo di interesse verso Batman, super-eroe (forse perché) super-ricco, a vantaggio di Joker, super-nemico (forse perché) super-povero e vittima di continue violenze, compromette l’immagine del sogno americano del benessere garantito a tutti. E lo fa con toni cupi, senza speranza alcuna di redenzione futura verso un mondo socialmente più equo.

Dopo avere visto le scene reali dell’attacco al Campidoglio di inizio Gennaio 2021 e dei disordini razziali seguiti alla morte di George Floyd e averle comparate con quelle cinematografiche della rivolta popolare nelle scene finali di Joker, si pone una questione di fondo sul ruolo dei Fumetti quando parlano di potere. Ovvero, se essi siano veramente efficaci come strumenti di proselitismo di valori e messaggi politici all’ audience a cui si rivolgono.

Oppure, se la loro vera capacità non risieda nel saper fotografare ed intercettare gli umori di un certo periodo storico e di un determinato paese. Nel qual caso, più che strumento di propaganda in mano agli esperti di comunicazione i Fumetti si dimostrano fonte indispensabile per la comprensione e lo studio di una società e delle sue istituzioni.

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