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La Russia e il pragmatismo sui Talebani. Il commento di Tafuro Ambrosetti

La Russia vuole una politica estera pragmatica, per questo intende mantenere in piedi le relazioni con l’Afghanistan dei Talebani, spiega Tafuro Ambrosetti, ricercatrice dell’Ispi esperta di Asia Centrale e Russia

“La Russia ha deciso di lasciare una rappresentanza diplomatica a Kabul, ma questa notizia non è sorprendente perché Mosca da tempo porta avanti un dialogo con i Talebani”, spiega a Formiche.net Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice dell’Ispi esperta di Asia Centrale e Russia.

L’ambasciatore russo Dmitry Zhirnov ha dichiarato ieri che i Talebani “hanno già superato la loro prima prova” stabilizzando “quel manicomio che era diventata Kabul” sotto la presidenza di Ashraf Ghani. Contemporaneamente l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’alleanza per la sicurezza tra Russia e nazioni centro-asiatiche, ha scritto in uno statement che le esercitazioni condotte dall’esercito russo al confine  tra Afghanistan, Tagikistan e Uzbekistan sono una semplice forma di preparazione per la difesa dei valichi e non hanno nessuna intenzione di complicare la situazione afghana. Ossia, il Cremlino vuole avere rapporti con il gruppo jihadista che ha preso il controllo a Kabul ed evita sensibilizzazioni.

“Da anni ormai la Russia punta sull’avere una politica estera pragmatica, non dettata tanto da valori o alleanze pregresse, ma piuttosto dal far prevalere i propri interessi nazionali e le proprie strategie a breve e medio termine in base all’evoluzione dei fatti sul campo”, aggiunge Tafuro Ambrosetti. Da questo, la volontà di avere relazioni stabili con i Talebani si lega all’interesse di stabilità per un Paese la cui importanza per Mosca è comprensibile anche solo geograficamente, collocato a sud di un sistema di Paesi che rappresentano la sfera di influenza russa nell’Asia Centrale.

La stabilità politica a Kabul è una preoccupazione reale per quanto riguarda la questione terroristica: in uno dei primi commenti rilasciati il rappresentante speciale del Cremlino per l’Afghanistan, Zamir Kabulov, ha sottolineato di avere rassicurazioni sul fatto che i Talebani continueranno a combattere lo Stato islamico nel Khorasan (filiale regionale dei baghdadisti). “La Russia — continua l’analista dell’Ispi — ha vissuto stagioni di attentati, ma adesso la situazione è apparentemente tranquilla: Mosca è chiaro che voglia continuare su questa stabilità ed è disposta a usare il pragmatismo per farlo”. Tra l’altro, fa notare, qualcosa di simile si lega al consumo di droga: “La Russia consuma qualcosa come un quinto degli oppiacei prodotti nel mondo, e a questo si lega l’alta diffusione dell’Hiv: l’Afghanistan è uno dei più grandi produttori al mondo di droghe derivate dall’oppio”. Il flusso delle sostanze segue anche una rotta terrestre verso nord (la principale è via mare verso l’Africa). Questa esce da Bala Morghab verso il Turkmenistan, poi Uzbekistan, sale dal Kazakistan (paesi parti dell’Unione economica eurasiatica) per entrare infine nel territorio della Russia. Il traffico mette in grande difficoltà da sempre il Cremlino.

Teoricamente i Talebani per approccio ideologico-religioso dovrebbero opporsi alla produzione di oppio, ma la questione è molto complessa, legata alla struttura sociale (ancora prima che economica) che sta alla base di quei 300 mila ettari che attualmente sono dedicati alla coltivazione e delle varie strutture di produzione dell’eroina nonché delle metanfetamine. I Talebani difficilmente potranno sganciarsi dalla catena dell’oppio (non tanto per i guadagni diretti, più che altro legati ai dazi) ma per il consenso: la messa al bando dell’oppio del 2001 costò al Mullah Omar un calo di presa tra i contadini. Ora questi teorici nuovi Talebani promettono di lavorare sulla questione come di combattere il terrorismo dello Stato islamico e controllare al Qaeda.

Paesi come la Russia (o l’Iran e la Cina) ascoltano interessati. A luglio una delegazione talebana è stata ospitata al Cremlino, dove aveva già rassicurato che la loro conquista del Paese non avrebbe creato problemi alla Russia. Elementi che interessano a Mosca, per questo al di là della fiducia reale nell’organizzazione, i diplomatici russi vogliono creare relazioni. Formalmente sembrano dare una chance di fiducia ai Talebani, nei fatti e pragmaticamente il rapporto diretto serve come vettore per difendere i propri interessi.

Da Mosca sta uscendo anche una narrazione anti-americana (o anti-occidentale) dietro a quanto accaduto. La Russia rimarca la dimensione del fallimento Usa e Nato nel tentativo di emancipare l’Afghanistan secondo il pensiero democratico occidentale. “La questione politica si lega al ruolo della Russia sul piano internazionale”, spiega Tafuro Ambrosetti: “Il rovesciamento del governo Ghani, governo legato all’Occidente, non può che essere letto positivamente a Mosca, perché rinforza la narrazione del Cremlino. E tra l’altro in questa situazione per la Russia si crea un ulteriore spazio per ergersi a mediatore tra tutte le parti in causa”.

Qualcosa di simile più in generale avviene in tutte le situazioni di crisi in Medio Oriente, non è così? “È un modo con cui la Russia intende rafforzare il suo status di potenza, che ha rapporti con le parti in gioco, che si impegna e si fa coinvolgere per avere un ruolo decisivo nella soluzione delle crisi”.

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