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Con la global tax una svolta, ma mini. La versione di Vincenzo Visco

Intervista all’ex ministro delle Finanze, tra gli ispiratori della tassa piatta sui profitti delle multinazionali. L’Ocse e i Paesi firmatari potevano fare molto di più, arrivando a un’aliquota del 25% invece che del 15%. La delega non è una scatola vuota ma sul catasto è ora di una riforma, l’hanno fatta tutti gli altri

E minimum global tax sia. Dopo mesi di accordi più o meno ufficiosi, l’accordo sulla tassa globale sui profitti delle grandi imprese è realtà. I giganti del web, dell’e-commerce, ma non solo, con un fatturato annuo oltre i 750 milioni di dollari annui, verseranno dunque un’aliquota del 15% sugli utili realizzati. Ma non è tutto.

L’intesa firmata da 136 (su 140) Paesi aderenti all’Ocse, rappresentanti il 90% del Pil mondiale, prevede anche un’altra misura, oltre a quella citata concepita per scongiurare la fuga delle grandi multinazionali verso dimore fiscali più favorevoli. Tecnicamente più complessa, l’accordo punta anche a spostare la base imponibile delle aziende nei luoghi dove operano concretamente, a prescindere dal luogo della loro sede sociale e fiscale.

Dunque, le grandi aziende con oltre 20 miliardi dollari di fatturato subiranno una tassazione nei Paesi in cui operano, tra il 20% e il 30% sui profitti, se superiori al 10% dei ricavi. Bene, ma si poteva fare di meglio, spiega a Formiche.net Vincenzo Visco, tra i promotori della prima ora della tassa globale piatta ed ex ministro delle Finanze e del Tesoro in ben quattro governi.

La global minimum corporate tax è ormai realtà. Non mi dica che non è soddisfatto, le multinazionali finalmente pagheranno qualcosa…

Lo sono a metà. Siamo ancora in una fase transitoria, l’accordo è certamente importante, la svolta c’è e inizia una nuova fase. Ma sia ben chiaro, bisognerà fare di più. Anzi, se proprio vuole saperla tutta, forse serviva più coraggio già da prima…

In che senso, scusi?

Nel senso che un’aliquota al 15% è troppo poco, le multinazionali pagano ancora pochino. Gli Stati Uniti in precedenza avevano teorizzato un’aliquota al 20-21%. Io, francamente, l’avrei messa al 25%. Questa sì che sarebbe stata una vera svolta. Ma ci dobbiamo accontentare per il momento.

Nonostante i sì di Ungheria e Irlanda, paradisi fiscali pur nel cuore dell’Unione europea, Nigeria, Kenya, Pakistan e Sri Lanka hanno detto no all’intesa. Allora la battaglia contro i Paesi offshore non è finita.

Un colpo è stato dato. Ma c’è ancora tanta gente che campa coi paradisi fiscali. Per questo prima dicevo che questo è un inizio, poi bisogna andare avanti e trovare magari accordi singoli con i paradisi fiscali rimanenti. No, la battaglia non è finita.

Parentesi americana. Il presidente americano, Joe Biden, vuole più tasse sui grandi patrimoni e rendite. Ci riuscirà?

La situazione è complessa, al Congresso. Ma la strada, mi creda, è segnata, sono certo che Biden riuscirà a ritrovare la compattezza del partito democratico. D’altronde la sua battaglia per un aumento delle tasse è stata iniziata con molta energia.

Parliamo dell’Italia. Il governo ha appena approvato la delega fiscale, c’è chi la definisce una scatola vuota e chi invece il seme di una vera riforma. Lei che dice?

La delega ha una sua coerenza, se non altro di gran lunga superiore al documento partorito dalle commissioni Finanze di Camera e Senato che mi pare abbastanza confuso. Ora la sfida è fare i decreti delegati, i contenuti insomma. La delega è talmente vaga che si può fare di tutto. Intanto però lasciamo che il Parlamento approvi la delega.

Insisto sui contenuti…

La riforma dell’Irpef credo che verrà anticipata alla prossima manovra, altri pezzi di riforma, come è successo con la legge sulla privacy, potranno finire in un decreto legge. Pezzi da mettere ce ne sono, insomma…

Ce ne sono ma tre miliardi non sono poi così tanti. La solita coperta corta…

Vero però le faccio notare come l’economia italiana vada bene e anche le entrate. Dunque di risorse da cui attingere ce ne sono. Anche perché c’è il catasto, di cui se ne è parlato in questi giorni.

Già, il catasto. Un po’ il grande spauracchio degli italiani…

In qualsiasi Paese civile il catasto è stato riformato. Qui in Italia se ne parla da 10 anni. Monti ci provò, ma Renzi mise la riforma su un binario morto. Ora i tempi sono maturi. Anzi, lo sarebbero…

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