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Il Pnrr non è la panacea ma solo un buon tampone. Parola di Ibl

Duecento miliardi sono tanti, ma bisogna stare attenti a non montarsi la testa. La quota di risorse destinata all’Italia è poca cosa se comparata alla spesa pubblica nei prossimi quattro anni. E poi non basta spendere, bisogna saper investire dove serve davvero

E se il Pnrr non bastasse? Se non fosse la soluzione a tutti i mali? A qualcuno potrà suonare strano ma a qualcun altro no. Il Recovery Plan, tanto per usare un’espressione tipica di questi tempi, è un ottimo tampone. Ma non quella pozione magica di cui avrebbe bisogno l’Italia. Di questo sono convinti gli economisti dell’Istituto Bruno Leoni, che in un editoriale dicono la loro sul piano da oltre 200 miliardi.

“Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Draghi ha annunciato che l’Italia ha raggiunto tutti gli obiettivi che il Pnrr fissava per dicembre. Si tratta, in gran parte, di traguardi puramente formali, preliminari al conseguimento dei target veri e propri (realizzazione degli investimenti e attuazione delle riforme)”, scrive il Bruno Leoni. “Nulla di nuovo: né poteva essere altrimenti, visti i pochi mesi trascorsi dalla presentazione del piano. Il realismo non deve fermarsi alla mera conta degli adempimenti. Dovrebbe investire la funzione stessa del programma a cui affidiamo le nostre prospettiva di ripresa e resilienza. La questione è semplice: se ben impiegate, le risorse europee possono promuovere alcune riforme strutturali e favorire la messa a terra di opere potenzialmente utili”.

Va bene, ma attenzione agli abbagli. “Non c’è nulla di salvifico in tutto questo: non basterà il Pnrr a cancellare trent’anni di stagnazione”, mette in chiaro il Bruno Leoni. Come è possibile? “Il Pnrr mobilita (in teoria) oltre 200 miliardi di euro in cinque anni: di questi, all’incirca 70 miliardi di euro sono trasferimenti a fondo perduto nell’ambito di Next Generation Eu, 120 miliardi prestiti dello stesso programma, 13 miliardi finanziamenti da React Eu e 30 miliardi risorse nazionali del fondo complementare. Si tratta di un volume ingente di denaro, specie considerando che in gran parte implica spese addizionali: ma va confrontato col totale della spesa pubblica che, nel medesimo quinquennio, ammonterà a quasi 5 mila miliardi di euro. Insomma: sul piano puramente quantitativo, stiamo parlando di un incremento inferiore al 5 per cento”.

Dunque, se comparato alla spesa pubblica italiana da qui a 4 anni, il Pnrr è poca cosa. “Di per sé, poi, e soprattutto con l’esperienza italiana alle spalle, l’idea che basti spendere di più per crescere di più pare appoggiare su assunzioni traballanti. Per intenderci non è detto che tutti i soldi saranno spesi, né che gli investimenti previsti siano tutti effettivamente utili ad alzare il potenziale di crescita del Pil nel lungo termine. In sostanza: molti pensano che i 200 miliardi del Pnrr aiuteranno il paese a ricuperare il terreno perso a causa del Covid. Altri, fra cui noi, sospettano che finiranno per alimentare altra spesa improduttiva. Ma nemmeno i primi dovrebbero pensare che il Pnrr ci esoneri dal perseguire quelle riforme strutturali e quelle correzioni nella politica di bilancio senza le quali è impensabile che l’Italia possa uscire dal suo declino”.

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