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Il Parlamento Ue approva il Dma. In arrivo i limiti (dopo il confronto)

Il Digital Markets Act è uscito da Strasburgo col sostegno di un’ampia maggioranza. Ora la mediazione con il Consiglio dei 27, a guida francese da gennaio, con un Macron pronto a tutto per farlo passare. Rimangono criticità sul fronte antitrust e sulle aziende prese di mira

Mercoledì il Parlamento europeo in forma plenaria ha approvato ufficialmente il maxi-pacchetto legge pensato per regolamentare l’economia digitale, il Digital Markets Act (meglio noto come Dma). L’ha fatto a maggioranza schiacciante, un sintomo della soddisfazione degli europarlamentari nel dar seguito a uno dei temi più complessi e discussi negli ultimi anni, il dossier che il corrispondente del Foglio a Bruxelles David Carretta ha definito “uno dei più importanti di questa legislatura”.

Margrethe Vestager, commissaria europea alla competizione, ha salutato l’avvenimento come un “regalo di Natale in anticipo”. L’approvazione del Dma “manda un chiaro messaggio: nella nostra Ue non spetta alle Big Tech stabilire le regole del gioco, ma ai legislatori”. Traspare altrettanta soddisfazione dal profilo Twitter di Andreas Schwab (Ppe), il relatore principale del Dma, il quale ha dichiarato a Politico che “d’ora in poi la Commissione potrà dare la luce verde in anticipo quando le Big Tech vorranno predisporre un nuovo modello di business”.

A Bruxelles si parla di accesso di mercato per le attività minori. Ma è il nocciolo della questione agli occhi dell’Ue è proprio nelle parole dell’europarlamentare tedesco: la capacità, da ottenere per via legislativa, di guidare lo sviluppo dell’economia digitale ex ante piuttosto che rincorrerla e adeguarsi ex post, cosa che è successa finora, non senza una tangibile quantità di frustrazione dei regolatori di fronte alla massiccia influenza su economia e società – superata solo dagli immensi guadagni – delle grandi aziende tecnologiche.

Non è un caso che da Washington stiano osservando la saga con diffidenza: in passato gli Usa hanno già accusato i regolatori europei di mirare a tagliare le gambe solamente alle grandi multinazionali americane, tra cui Amazon, Apple, Alphabet (parent di Google), Meta (ex Facebook), Microsoft. E in effetti sono poche le Big Tech europee, ancor meno quelle che rientrerebbero nei limiti del testo definitivo del Dma: fatturato in Ue di almeno 8 miliardi di euro, capitalizzazione di mercato di 80 miliardi.

Così il Dma definisce le gatekeeper, ossia le aziende “dominanti” che più ne verranno impattate. Nella pratica il disegno legge proibirà le acquisizioni-killer (in cui una compagnia Big Tech affossa la concorrenza innovativa semplicemente comprandola) se la Commissione riterrà che detta azienda abbia violato sistematicamente il Dma. Ci sono anche altre misure pensate per favorire la concorrenza, come l’obbligo di fornire alternative rivali alle applicazioni preinstallate in un telefono nuovo.

Ora il pacchetto dovrà essere oggetto di mediazione tra il Parlamento e il Consiglio europeo prima dell’attuazione definitiva. Schwab si sta preparando alle battaglie finali d’intesa con la Francia di Emmanuel Macron, che intende sfruttare la presidenza dell’Ue (nella prima metà del 2022) per intestarsi il passaggio del Dma e il suo pacchetto complementare, il Digital Services Act (Dsa). E il tedesco trasuda sicumera: “non prevediamo alcun punto di conflitto nella nostra discussione l’anno prossimo con la presidenza francese. Proprio nessuna”, ha detto a Politico.

La negoziazione potrebbe comunque far emergere delle criticità del pacchetto-legge. Già i Socialisti in Parlamento vorrebbero espandere la definizione di gatekeeper abbassando le soglie (anche se la Commissione si è arrogata il diritto di considerare gatekeeper anche aziende che non rispettano tutti i parametri di definizione). E gli Stati membri potrebbero farsi portavoce delle istanze di alcune associazioni professionali che hanno criticato gli strumenti, a tratti grezzi, previsti dal Dma.

Tra chi ha già espresso dubbi figura il presidente dell’autorità antitrust italiana, Roberto Rustichelli. “Il digitale non è un settore ma una tecnologia che pervade tutta l’economia, per cui è discutibile un approccio one size fits all, con l’introduzione di regole uguali per tutti di fronte a modelli di business molto diversi”, diceva a settembre. Di più: secondo lui è “un grave errore” affidare alla competenza esclusiva della Commissione l’attuazione della legge, essendo che negli ultimi anni l’European Competition Network “ha dimostrato di saper dare un rilevante contributo con riferimento ai mercati digitali”.

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