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Erdogan e Salman si parlano. Il nuovo Medio Oriente in evoluzione

L’incontro tra i due leader è il culmine di un riavvicinamento in atto da tempo, frutto anche del rimodellamento di nuovi equilibri regionali di cui Tuchia e Arabia Saudita sono chiaramente attori protagonisti. I commenti di Cengiz (Metu), Dentice (CeSI), Soylu (Mee)

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è andato in visita ufficiale in Arabia Saudita, dove ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman, il sovrano de facto del regno.

Se le relazioni hanno toccato il nadir (come lo definisce Colm Quinn su Foreign Policy) dopo l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, l’incontro segna di certo un cambiamento radicale nell’approccio della Turchia all’Arabia Saudita. Erdogan descrisse l’uccisione come “probabilmente l’incidente più influente e controverso del 21° secolo” e ha accusato i “più alti livelli” del governo saudita di essere coinvolti, sebbene non abbia mai menzionato Mohammed bin Salman per nome.

Poi l’inversione a U: la visita ha segnato il momento; il trasferimento delle carte processuali da un tribunale di Istanbul a Riad ha segnato il passaggio; ma le relazioni sono in fase di ricucitura da mesi. Ankara ha bisogno di tutti gli amici che può avere in questa fase, dato che la sua stabilità economica è realmente minacciata. E minacciare l’economia per Erdogan significa sentire minacciata la sua leadership.

In Turchia si voterà la prossima primavera (tra aprile e maggio) e per il presidente c’è poco tempo per dimostrare che rimane l’uomo giusto per guidare lo sviluppo economico e mantenere il livello di prosperità che ha reso negli anni il suo autoritarismo anche accettabile. Erdogan si sta dando da fare: in questi giorni è stato per esempio confermato che l’accordo di partenariato globale tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti è sul punto di discussione finale. Permetterà un raddoppiamento delle relazioni commerciali.

Con Abu Dhabi c’è già stata a gennaio un’intesa da 5 miliardi di dollari per l’aumento delle riserve valutarie della Turchia. Segue la creazione di un fondo d’investimento degli Emirati Arabi Uniti da 10 miliardi di dollari per progetti turchi lo scorso novembre. Emiratini e sauditi sono alleati storici, su parte di certi dossier si muovono indipendentemente, su altri in coordinazione: è plausibile per il presidente turco sperare che dopo l’incontro con bin Salman arrivi a breve qualcosa del genere anche da Riad.

Secondo Simen Cengiz del Middle East Technical University di Ankara, sono proprio questi rapporti economico-commerciali e finanziari che stanno permettendo la ripartenza, con la cooperazione sul piano politico che seguirà in fasi successive, che arriveranno anche in funzione dei risultati raggiunti.

“Nonostante tutte le loro differenze – spiega a Formiche.net – la Turchia in particolare ha avviato un processo di riconciliazione con i suoi precedenti nemici, tra cui Emirati Arabi Uniti, Egitto e Israele. Ripristinare le relazioni con l’Arabia Saudita è stata la noce più dura da rompere, perché le relazioni hanno visto un graduale deterioramento e hanno avuto problemi più profondi toccando diverse sfere: politica, economica e mediatica”.

Le grandi questioni che hanno portato alla tensione tra i due Paesi – le loro differenze sui Fratelli Musulmani, la crisi del Qatar e il caso Khashoggi, la crisi regionale relativa a Siria, Libia e Mediterraneo orientale – “non sono più presenti o sono state parzialmente risolte nelle dinamiche regionali e internazionali”.

Diversi sviluppi come le questioni economiche in questi Paesi, il mandato equilibratore di Joe Biden, l’indebolimento dell’influenza della Fratellanza Musulmana, i problemi economici e sociali legati alla Covid, hanno spinto questi Paesi verso forme di dialogo e conciliazione. “La Turchia e gli altri attori regionali hanno capito che la politica estera basata sulla forza non sta portando una vittoria completa, piuttosto è economicamente e diplomaticamente dannosa per tutte le parti”, spiega Cengiz.

Il riavvicinamento può essere visto dunque come parte di una tendenza più ampia in tutto il Medio Oriente, dove anche il ridimensionamento degli Stati Uniti sta portando i Paesi a rivalutare le loro relazioni? “È in corso un rimodellamento dei rapporti nella regione, e la visita in sé rappresenta il culmine per lo sblocco del dialogo turco-saudita già avviato sotto quell’ottica”, risponde Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente del CeSI.

Davanti a queste dinamiche, secondo Dentice, Erdogan non vuole restare indietro sul fronte internazionale, mentre continua a pensare a quello interno. “Il presidente turco sta cercando sicurezza, sia nei rapporti regionali sia per quanto riguarda la condizione interna, e davanti a questo ha deciso di riporre la conflittualità araba sunnita in un cassetto e inserire la Turchia in un fronte sunnita, che in parte continua a confrontarsi con l’Iran”.

Quella condizione interna è stata aggravata anche dalla crisi ucraina, sia dal punto di vista finanziario (il dato di marzo dice inflazione al 61 per cento, il più alto degli ultimi vent’anni) sia sul piano della crisi alimentare potenziale. E infatti, sia con Riad che con Abu Dhabi, Ankara ha anche parlato della possibilità di cooperare per creare catene di approvvigionamento più resilienti e pronte a certi shock.

“Queste azioni sono importanti perché permetto alla Turchia di evitare l’esposizione a condizioni di instabilità interne che possano proiettarsi sul piano regionale, con successivi contraccolpi sugli attori dell’area Medio Oriente e Nord Africa”, aggiunge Dentice. Davanti a queste necessità, la posizione di Ankara che promuove la democrazia islamista sulla linea dei Fratelli Musulmani, contro Riad che sostiene lo status quo autoritario e monarchico, potrebbe passare in secondo piano.

Ciò che ha mosso i due Paesi a riavvicinarsi riguarda principalmente le dinamiche regionali e il cambiamento di politica della Turchia spinto dal declino economico, anche secondo Ragip Soylu, direttore dell’ufficio turco del sito Middle East Eye e tra i più seguiti conoscitori del mondo-Erdogan.

“In primo luogo – spiega Soylu – c’è stato il cambio di leadership negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden non è molto simpatetica con Riad”. Questo ha creato spazi per nuovi equilibri; spazi che altri attori intendono riempire. “Inoltre i sauditi si sentono sempre più soli a causa del loro impantanato coinvolgimento nello Yemen, che si è rivelato costoso e mal calcolato. Poi c’è la recente riconciliazione della Turchia con gli attori regionali, specialmente con gli Emirati Arabi Uniti, che ha aperto al ripensamento di Raid”.

Ricordando come l’omicidio di Khashoggi, già editorialista di Middle East Eye, è stato il passaggio che ha innescato quattro anni fa il disaccordo pubblico (Ankara aveva fatto uscire i dettagli raccapriccianti dell’accaduto, Riad aveva risposto con un embargo commerciale che ha disintegrato più del 92 per cento delle esportazioni turche in Arabia Saudita), Soylu evidenzia che la Turchia “è in un processo di allineamento con gli attori regionali ridefinendo le sue priorità”.

Erdogan, secondo il giornalista turco, sta cercando di “utilizzare la posizione di potere recentemente raggiunta per riparare i legami con gli ex nemici. Il ripristino dei rapporti con Egitto, Israele ed Emirati Arabi ha un impatto positivo sull’economia, considerando le esportazioni e i potenziali investimenti sauditi: la Turchia vede una chiara opportunità anche con l’Arabia Saudita”.

(Foto: Twitter, Ragip Soylu)

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