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Il funerale di Sheikh Khalifa è un primo test internazionale per MBZ

La cerimonia di commiato per Sheikh Khalifa offre l’opportunità di delineare il futuro degli Emirati sotto la (nuova) guida di bin Zayed, un leader internazionale. Gli Stati Uniti presenti in prima fila a sostegno di un partner centrale, che vede più nella Fratellanza che nell’Iran le maggiori rivalità, spiega Cafiero (Gulf State Analytics). E che dovrà impegnarsi nella competizione tra potenze con Cina e Russia, aggiunge Ulrichsen (Baker Institute)

Sarà guidata dalla vicepresidente Kamala Harris la delegazione che oggi, lunedì 16 maggio, arriverà da Washington per offrire condoglianze agli Emirati Arabi Uniti per la morte di Sheikh Khalifa. Basta dare un’occhiata alla composizione della rappresentanza inviata per comprendere subito quanto gli Stati Uniti siano interessati a trasmettere non semplice vicinanza, ma anche a dare valore a ciò che il momento si porta dietro.

La delegazione Usa

Saranno presenti il segretario di Stato Tony Blinken, il segretario alla Difesa Lloyd Austin, il direttore della CIA Bill Burns, il coordinatore per il Medio Oriente della Casa Bianca Brett McGurk, l’assistente ad interim del segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente Yael Lempert e il comandante del CentCom Michael Kurilla. Una visita di Stato che serve a offrire il commiato per la morte del ruler di Abu Dhabi, figura storica per il Paese, ma soprattutto a inaugurare l’inizio del regno di Mohammed bin Zayed, che da erede al trono factotum ha preso il ruolo di guida de iure.

Bin Zayed (anche MBZ) è stato nominato rapidamente dal Consiglio supremo federale sabato 14 maggio, il giorno successivo la morte di Khalifa: senza aspettare i tre giorni di eventi funerari e tanto meno i quaranta di lutto nazionale, perché — come ha dichiarato il consigliere per la politica estera presidenziale, Anwar Gargash — serviva “inviare un messaggio di stabilità”. Ora il nuovo presidente degli Emirati avrà subito l’occasione delle celebrazioni per la morte del fratello come trampolino di lancio di un primo contatto con diversi alleati e partner da governante ufficiale.

E quello che succede con gli Stati Uniti è particolarmente significativo, visto che tra Washington e Abu Dhabi non è in corso il migliore dei momenti della storica relazione. Non c’è la freddezza con cui l’amministrazione Biden si sta approcciando a Riad — con cui è in corso una crisi controllata — ma nemmeno si può dire che le cose stiano procedendo come al solito. “Gli Stati Uniti sono determinati a onorare la memoria del defunto presidente Sheikh Khalifa continuando a rafforzare il partenariato strategico tra i nostri Paesi nei prossimi mesi e anni”, ha detto Joe Biden in una telefonata a MBZ, ma è una dichiarazione che non poteva che essere protocollare.

Russia, Cina e Abu Dhabi

Tra Washington e Abu Dhabi c’è di mezzo Pechino. Gli Stati Uniti hanno chiesto agli Emirati di sospendere in qualche modo i rapporti con le aziende cinesi del mondo delle telecomunicazioni, perché il rischio è che un’eccessiva esposizione possa essere strategicamente problematica. Il timore è quello ben noto, ossia che queste aziende possano provvedere a raccolte dati e informazioni da trasferire alle intelligence cinesi, creando una falla in cui anche le comunicazioni con Washington finiscono coinvolte. Per tutta risposta Abu Dhabi ha chiesto l’interruzione della sua partecipazione al programma di difesa che ruota attorno agli F-35. Un modo per poter avere maggiormente le mani libere con Pechino.

Poi c’è stata la questione Russia. Gli Stati Uniti avevano chiesto a sauditi ed emiratini di aumentare le produzioni di petrolio per abbassare i costi del greggio — richiesta che mirava a riequilibrare i prezzi, schizzati con l’invasione dell’Ucraina, ma anche a mettere in difficoltà Mosca su uno dei propri asset economici cruciali. Abu Dhabi e Riad però hanno deciso di rispettare le decisioni sulle produzioni prese nelle riunioni del sistema Opec+, a cui partecipa anche la Russia. Vladimir Putin ha ricordato Sheikh Khalifa per aver fatto molto per creare “relazioni amichevoli e collaborazione costruttiva”, sebbene queste decisioni negli ultimi otto anni (e otto settimane) siano già state frutto delle scelte di MBZ.

“Non prevedo alcun cambiamento significativo nella politica estera degli Emirati sotto la presidenza di Mohammed bin Zayed, dato che lui (e le persone a lui vicine) la dirigono almeno dal 2014”, commenta Kristian Ulrichsen del Baker Institute alla Rice University di Houtson. “Mi aspetto – aggiunge in una conversazione con Formiche.net – che gli UAE continuino a impegnarsi con la Russia e soprattutto con la Cina e che cerchino di scrollarsi di dosso le preoccupazioni degli Stati Uniti sul fatto che tale impegno possa sconfinare dalla sfera economica ed energetica a questioni di politica e di difesa/sicurezza”.

Il pensiero di MBZ

Per Ulrichsen, l’unica cosa che potrebbe cambiare è la difficolta con cui Abu Dhabi dovrà bilanciare queste relazioni in un mondo di rivalità tra grandi potenze e di competizione strategica sempre più a somma zero: “Tutto sarà più complesso per gli Emirati, soprattutto nel quadro Russia-Usa”. Secondo l’ex inviato americano negli Emirati Arabi Uniti Barbara Leaf, MBZ è stato sempre guidato da una “certa linea di pensiero fatalista” secondo cui i governanti arabi del Golfo non potevano più contare sul loro principale sostenitore, gli Stati Uniti, soprattutto dopo che Washington aveva abbandonato l’egiziano Hosni Mubarak durante la Primavera araba del 2011. I nuovi Emirati saranno probabilmente più centralizzati e meno federalisti, togliendo parte della raison d’être dietro alla formazione, più di 50 anni fa.

Come ha spiegato su queste colonne Cinzia Bianco (Ecfr), la famiglia al Nayahn diventerà sempre più la famiglia regnante, e questo potrebbe ripercuotersi anche nella scelta del nuovo principe ereditario (determinante per il futuro del Paese). Tuttavia nella sostanza poco cambierà nelle visioni di politica estera nel breve periodo – anche in quelle che riguardano la percezione statunitense – perché già dettate dal pensiero di MBZ. Gli Emirati rimarranno la Piccola Sparta, hub del business della regione.

Iran e Fratellanza

Punto fermo resterà quello di spingere il Paese come riferimento per il commercio internazionale, per gli affari, per il turismo ludico. Piani davanti ai quali i nemici individuati resteranno gli stessi: da una parte l’Iran, contro cui MBZ ha rafforzato il blocco sunnita regionale negli scorsi anni e con cui adesso sta costruendo un complicato percorso di contatto; da un’altra parte la Fratellanza musulmana, l’organizzazione panaraba che guida l’interpretazione dell’Islam politico e che è stata individuata come eversiva dagli Emirati al punto di essere classificata come organizzazione terroristica.

Qui i contatti sono anche più delicati, nonostante sia ripartito il dialogo con Ankara e con Doha (centri rappresentativi dell’Islam dei Fratelli), perché come sostiene Giorgio Cafiero, ceo di Gulf State Analytics (una società che fa consulenza strategica sulle dinamiche del Golfo), per MBZ il timore che quelle idee possano trasformarsi in rivolte interne contro lo status quo è anche più preoccupante della rivalità con Teheran. Su quest’ultima per altro Abu Dhabi ha rafforzato la propria posizione con gli Accordi di Abramo per la normalizzazione dei rapporti con Israele. “Abu Dhabi vede l’Iran come una minaccia regionale, ma non ci sarà mai una rivoluzione ispirata a Khomeini negli Emirati Arabi Uniti. L’ideologia della Fratellanza è invece qualcosa su cui le preoccupazioni di MBZ potrebbero anche diventare reali se crescesse la popolarità interna dell’organizzazione”, spiega Cafiero.

Ospiti internazionali

Seguire la partecipazione alle cerimonie funebri è anche un marker per le future relazioni emiratini. Oggi per esempio il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, sarà ad Abu Dhabi, dove ieri si sono recati il francese Emmanuel Macron, il premier britannico, Boris Johnson, Felipe di Spagna, e il presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Sempre oggi arriverà anche il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdolahian, mentre ieri è toccato anche al presidente israeliano, Isaac Herzog, al leader palestinese Abu Mazen, al’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani, e al re del Bahrain, Hamad bin Isa Al Khalifa.

Ampia la partecipazione dal continente africano, dove Abu Dhabi ha approfondito relazioni, investimenti e interessi: presenti il principe del Marocco Mohammed VI, il presidente senegalese Macky Sall, il keniota Uhuru Kenyatta, il presidente del Consiglio presidenziale libico Mohamed El Menfi, il vice presidente del Consiglio sovrano del Sudan, generale Mohamed Hamdan Dagalo, e il premier etiopico Abiy Ahmed. C’era anche l’uzbeko Shavkat Mirziyoyev, il presidente dell’Indonesia Joko Widodo, e il premier del Pakistan Shehbaz Sharif.

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