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Gli Usa autorizzano investimenti in Siria contro lo Stato islamico

Investire direttamente nel kurdistan siriano per evitare che le condizioni depresse favoriscano nuove predicazioni dello Stato islamico. Il piano di recupero di Washington è parte del contro-terrorismo della Coalizione ed evita di dialogare con Damasco

Gli Stati Uniti hanno autorizzato alcuni investimenti in aree del nord della Siria che sono al di fuori del controllo del governo, in quella che il dipartimento di Stato definisce una strategia progettata per sconfiggere lo Stato islamico attraverso la stabilizzazione economica. L’annuncio è stato dato giovedì, il giorno successivo alla chiusura della riunione della Coalizione internazionale contro Daesh che si tenuta in Marocco (e potrebbe non essere una casualità).

Sono dodici i settori in cui è stato approvato l’invio di fondi (agricoltura, edilizia, finanza e progetti specifici), che non andranno al governo siriano perché le transazioni con Damasco sono bloccate da sanzioni contro la repressione brutale assadista, disposte dagli Usa durante gli undici anni di guerra civile. Anzi, i funzionari di Foggy Bottom hanno spiegato nei briefing concessi ai media che non c’è nessuna intenzione di revocare le sanzioni al rais siriano, Bashar el Assad.

La progettazione americana rientra perfettamente nelle policy annunciate durante la riunione della Global Coalition anti-Daesh. Gli alleati che puntano a sconfiggere “definitivamente” – come ha detto Victoria Nuland, l’alta funzionaria americana che ha co-presieduto la riunione – stanno pianificando investimenti per far rinascere aree di Iraq e Siria che negli anni scorsi erano state occupate dall’amministrazione baghdadista.

Gli investimenti del settore privato in queste aree contribuiranno a ridurre la probabilità di rinascita dell’Is, combattendo le condizioni economicamente e socialmente depresse che consentono il reclutamento e la rete di sostegno dei gruppi terroristici. Organizzazioni come lo Stato islamico (e altri gruppi combattenti) riescono a creare proselitismo all’interno di contesti sottosviluppati. La propaganda attecchisce più facilmente in aree degradate: basta pensare che lo Stato islamico stesso ha avuto un forte sviluppo negli anni tra il 2013 e il 2014 nelle province sunnite dell’Iraq, abbandonate e sfruttate dal governo settario sciita.

La licenza concessa dal dipartimento di Stato autorizza anche l’acquisto di prodotti petroliferi come la benzina da quell’area, ad eccezione delle transazioni che coinvolgono il governo siriano o quelle designate ai sensi delle sanzioni statunitensi. Il Nord della Siria è un contesto particolare: l’area era stata occupata dal Califfato e faticosamente liberata dai curdi – etnia autoctona che sogna la costruzione di uno stato socialista libertario, il Rojava. Le milizie curde della Siria settentrionale hanno ricevuto assistenza (equipaggiamento e affiancamento) dagli Stati Uniti e quella fascia di Paese nord-orientale è stata tra le prime liberate dal controllo baghdadista di tutto il Siraq occupato.

Mentre le forze assadiste hanno recuperato la maggior parte del territorio combattendo la guerra civile contro i ribelli – una guerra laterale rispetto a quella della Coalizione internazionale contro il Califfato – non hanno mai riconquistato il Nord, perché sia l’esercito siriano che quello russo e iraniano (che gli forniscono assistenza) si sono sempre tenuti a distanza dal cuore dello scontro con lo Stato islamico.

Ora l’area settentrionale siriana è divisa in due: il nord-nordest è amministrato de facto dai curdi, sebbene de iure sia parte della Repubblica araba siariana; il nordovest (anche questo giuridicamente sotto Damasco) è controllato di fatto dalla Turchia, che vi ha schierato unità effettive e ha rapporti diretti con i ribelli che restano nelle ultime aree-roccaforte. I turchi considerano i curdi siriani nemici, in quanto alleati dei cugini turchi del Pkk – la collaborazione tra questi e gli Stati Uniti è stata alla base delle complicazioni nelle relazioni tra Ankara e Washington.

I funzionari americani hanno spiegato che l’amministrazione Biden ha consultato la Turchia e altri alleati prima di lanciare la campagna di investimenti. Ora i rapporti turco-americani stanno tornando buoni (come racconta la vicenda della commessa di F-16), anche grazie al ruolo svolto da Ankara nei tentativi di mediazione con Mosca riguardo all’invasione dell’Ucraina. E grazie a un atteggiamento più collaborativo da parte del presidente Recep Tayyp Erdogan, che ha avviato una serie di distensioni nell’ambito di una generale evoluzione regionale in questo senso.

Sotto questo flusso, alcuni stati come gli Emirati Arabi Uniti hanno avviato un riavvicinamento con il governo di Assad dopo aver alimentato le posizioni dei ribelli durante la guerra civile. Gli Stati Uniti sono formalmente contrari a questi tentativi di normalizzare o migliorare le relazioni diplomatiche con il regime siriano, ma nei fatti non impediscono agli alleati arabi di ristabilire i legami con Damasco.

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