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Il Congresso sfida Biden sull’atomica. E intanto gli arsenali crescono

Mentre la Casa Bianca spinge per il ridimensionamento e il definanziamento di due programmi nucleari, il Congresso è intenzionato a proseguire con i due progetti, in attesa di un’alternativa possibile. Il dibattito sull’arsenale atomico Usa avviene sullo sfondo delle considerazioni del Sipri, che registra un possibile trend di crescita nel numero di testate nucleari a livello globale per la prima volta dai tempi della Guerra fredda

Si accende la sfida tra Capitol hill e la Casa bianca sull’arsenale nucleare degli Stati Uniti. Attualmente le due camere del Parlamento Usa sono impegnate nei delicati passaggi intorno al disegno di legge annuale sulla politica di Difesa, e diversi membri del Congresso si sono schierati contro la proposta dell’amministrazione di Joe Biden di eliminare due investimenti su altrettanti programmi destinati alle armi nucleari in dotazione di Washington.

La bomba a gravità

L’esecutivo, infatti, vorrebbe ritirarne uno e ridurre i finanziamenti su un altro. Il primo programma attenzionato da Biden è il sistema B83, una “bomba a gravità” da un megatone, utilizzata per colpire obiettivi difficili a profondità elevate, come bunker o silos. Per ora l’intento della Casa bianca è bloccato dal National defense authorization act (Ndaa) per l’anno fiscale 2023 del Senato, che impedisce la sua cancellazione fino a che il governo non presenti una valida alternativa all’ordigno.

Missili per la Marina

L’altro investimento riguarda il programma di sviluppo di missili da crociera nucleari lanciati dal mare, il tipo che equipaggia i sottomarini balistici degli Stati Uniti, parte integrante della triade nucleare a stelle e strisce. Secondo la versione della Camera dell’Ndaa il progetto dovrebbe ricevere 45 milioni di dollari. Tuttavia, la stessa Camera ha accolto nella legge sugli Stanziamenti per la Difesa la richiesta dell’inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue di definanziare il programma. Nella parallela legge approvata dal Senato, invece, il progetto prevede la messa a sistema di 25 milioni di dollari di fondi per il suo sviluppo.

Meno ordigni, ma più moderne

Lo scontro avviene mentre l’Ufficio budget del Congresso stima la spesa complessiva degli Stati Uniti per le proprie forze atomiche per il periodo 2021-2030 pari a oltre seicento miliardi di dollari. Tuttavia, secondo quanto registrato dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), l’inventario delle testate nucleari in dotazione a Washington è diminuito nel corso del 2021, mentre aumenta la spesa militare globale per il settimo anno consecutivo. Però, stando ai dati del think tank svedese, nonostante il numero complessivo di testate sia diminuito a 5.428 (un calo di appena 122 testate), questo decremento è dovuto principalmente allo smantellamento dei sistemi più vecchi, ed è quindi destinato a tornare a crescere nel prossimo decennio.

Il trend di crescita degli arsenali nucleari

Per il Sipri, dunque, il numero di testate nucleari è destinato a crescere nel prossimo decennio per la prima volta dai tempi della Guerra fredda, così come il rischio di una escalation incontrollata che porti a un loro utilizzo su vasta scala. Per il 2022 in testa alle classifiche per numero di testate a livello globale si conferma la Russia, con 5.977 (un vantaggio rispetto agli Stati Uniti di 549 ordigni). Messi insieme, i due Paesi possiedono oltre il 90% delle armi atomiche a livello globale. Pechino segue con circa 350 testate, ma la Repubblica Popolare è avviata da tempo in una sostanziale espansione delle sue riserve di armi nucleari. Le immagini satellitari analizzate dagli analisti del Sipri rivelano anche la costruzione di oltre trecento nuovi silos missilistici. Le forze armate cinesi, inoltre, hanno ricevuto dal 2021 nuovi lanciatori mobili e un sottomarino lanciamissili che potrebbero essere in grado di veicolare anche degli ordigni atomici.

Le armi europee

Anche in Europa il trend sulle armi nucleari è di crescita. L’anno scorso il Regno Unito ha dichiarato di voler aumentare le proprie scorte totali di testate, un vero e proprio dietrofront rispetto a anni di politiche di disarmo graduale. Inoltre, Londra ha anche annunciato che non avrebbe più divulgato pubblicamente i dati relativi alle scorte operative di armi nucleari del Paese, alle testate dispiegate o ai missili schierati. Sempre nel 2021, dall’altra parte del Canale, Parigi ha lanciato il suo programma per lo sviluppo di un sottomarino missilistico balistico a propulsione nucleare (Ssbn) di terza generazione.

Gli altri Stati nucleari

Chiudono il gruppo delle sette nazioni ufficialmente dotate di armi atomiche India e Pakistan, che secondo i dati rilasciati dal Sipri sarebbero coinvolte in un processo di espansione dei propri arsenali nucleari. Entrambi i Paesi, inoltre, starebbero sviluppando e introducendo in servizio nuovi sistemi per il lancio delle testate atomiche. Inoltre, sebbene non riconosca pubblicamente il proprio possesso di armi nucleari, il centro di ricerca svedese ritiene che anche Israele abbia avviato nel 2021 un processo di modernizzazione del suo arsenale atomico.

L’arsenale di Kim Jong-un

Infine, la Corea del Nord rimane una potenziale minaccia atomica, dato il mantenimento del programma militare quale priorità strategica del Paese ed elemento centrale della sua architettura di sicurezza nazionale. Nonostante Pyongyang non abbia condotto test nucleari o di missili balistici a lungo raggio durante il 2021, le ipotesi del Sipri sono che il Paese possieda una ventina circa di testate, e materiale fissile sufficiente a realizzarne un’ulteriore cinquantina.

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