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Cosa racconta la morte di Dugina. Conversazione con Carolina de Stefano

Secondo la docente della Luiss l’elemento dell’autobomba è già un fattore di interesse in sé, perché ricorda i regolamenti di conti tra bande degli anni Novanta. A Mosca potrebbe essere in corso una lotta interna per le risorse e le forti tensioni sociali possono dare origini a violenze o comunque essere molto più visibili

Le immagini di Alexander Dugin, nazionalista russo e sedicente filosofo le cui idee hanno contribuito a plasmare la narrativa del Cremlino anche sull’Ucraina, shockato davanti all’auto in fiamme di sua figlia stanno facendo il giro del mondo. Daria Dugina, 29 anni, è stata uccisa nell’esplosione del veicolo che guidava mentre percorreva una strada appena fuori Mosca sabato sera, in quello che le autorità investigative russe hanno definito un “omicidio su commissione”, che aveva probabilmente il padre come bersaglio principale.

In meno di 48 ore l’FSB, l’intelligence federale russa, ha fatto sapere di aver individuato l’autrice: una donna ucraina di nome Natalia Vovk, nata nel 1979, entrata in Russia a luglio con la figlia, che avrebbe pedinato la ragazza uccisa in queste settimane (si muoveva con una Mini Cooper su cui montava tre targhe diverse, dicono i servizi segreti del Cremlino) e dopo l’assassinio sarebbe fuggita in Estonia. Tutto da verificare, ma è possibile che Mosca abbia diffuso queste informazioni sull’indagine anche per rassicurare sulle proprie capacità di controllo e trasmettere un senso di sicurezza.

“Aspetterei a pronunciarmi sugli autori e sul movente, ma quello che colpisce è l’attentato in sé: un’autobomba, che vedo come un ritorno alle lotte intestine russe degli anni Novanta”, commenta Carolina de Stefano, esperta di storia e politica russa, docente alla Luiss.

Le autobombe erano un elemento fisso delle faide tra bande nella Russia degli anni ’90, ma da allora sono passate di moda. Poi dall’inizio della guerra russa in Ucraina, che tra due giorni marca i suoi primi sei mesi, sono stati segnalati almeno due attacchi contro obiettivi vicini al Cremlino, sebbene non così importanti come quello contro Dugina (anche a livello di risalto mediatico).

A giugno, le autorità filorusse che occupano Kherson, nel sud ucraino, hanno dichiarato che un alto funzionario è stato ucciso da un’autobomba. A luglio, l’amministratore capo di Velikyi Burluk, una cittadina a est di Kharkiv anche questa occupata dalle forze russe, è stato ucciso da un’autobomba che le autorità regionali hanno attribuito a gruppi di sabotaggio ucraino.

A differenza dei due pretendenti citati, la vicenda di Dugina sembra pronta a diventare un punto di infiammabilità. Mosca promette durissime rappresaglie se troverà le prove della mano ucraina dietro l’attentato (e c’è da pensare che se non dovesse trovare niente potrebbe fabbricarle, fosse nell’interesse del Cremlino). L’Ucraina ha allontano ogni genere di accusa e si dichiara non responsabile dell’accaduto. Diversi analisti valutano la morte della figlia di Dugin come una vulnerabilità del regime russo.

“Di certo possiamo dire che quel che è successo non è un buon segnale per il sistema di potere russo”, aggiunge de Stefano. “Tutto questo potrebbe rafforzare la posizione dei nazionalisti radicali, limitando il margine di manovra diPutin in Ucraina”.

Daria Dugina, 29 anni, stava guidando la Toyota Land Cruiser del padre di ritorno dal Festival delle Tradizioni a cui entrambi avevano partecipato quando è avvenuta l’esplosione. Dugina, redattrice capo di United World International, un sito web russo noto per le attività di disinformazione, è sottoposta a sanzioni statunitensi come il padre, con cui condivide varie posizioni, tra cui l’appoggio alla guerra di Putin in Ucraina. In un’intervista rilasciata a marzo a uno YouTuber russo, Dugina ha affermato che l’identità ucraina è per lo più localizzata nell’Ucraina occidentale e che l’Ucraina orientale – compresa la regione del Donbas – potrebbe accettare un “Impero eurasiatico” sulla base della fede religiosa e della nazionalità.

Alexander Dugin, una delle voci internazionali dell’anti-occidentalismo, dal 2015 sotto sanzioni statunitensi, è stato spesso descritto come colui che ha influenzato il pensiero del Cremlino sull’espansione russa e sull’Ucraina, anche se i suoi legami con Putin sono stati talvolta sopravvalutati e la portata del loro rapporto diretto non è chiara. Tra l’altro Dugin non occupa una posizione ufficiale nel governo. Però ha un ruolo nella narrazione putiniana, svolto anche attraverso il controllo di Geopolitica, “un sito web che funge da piattaforma per gli ultranazionalisti russi per diffondere disinformazione e propaganda rivolta al pubblico occidentale e non solo”, secondo i funzionari del Tesoro statunitense. Il sito per esempio ha accusato gli Stati Uniti e la NATO di provocare una guerra con la Russia per “terrorizzare ulteriormente il popolo americano in tutti i modi maligni”.

Denis Pushilin, un importante leader separatista e figura chiave dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, nel dare per primo la notizia dell’accaduto ha immediatamente accusato l’Ucraina per la morte di Dugina, senza fornire alcuna prova. Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato domenica che se si scoprisse che l’Ucraina è coinvolta nella morte di Dugina, “dovremmo parlare della politica di terrorismo di Stato attuata dal regime di Kiev”. “Sicuramente non abbiamo nulla a che fare con questo”, ha dichiarato domenica alla televisione ucraina Mykhailo Podolyak, un consigliere di Zelensky. È possibile che quanto accaduto abbia comunque ripercussioni sulla guerra: la Russia potrebbe scegliere di aumentare la pressione militare.

Potrebbe anche trattarsi di un attacco interno da parte di persone insoddisfatte dell’andamento della guerra? Cosa racconta la vicenda? “Quando il Paese si chiude – risponde de Stefano – e non hai più stranieri in circolazione, dunque meno vincoli esterni, allora la lotta interna per le risorse e le forti tensioni sociali possono dare origini a violenze o comunque essere molto più visibili. Il Cremlino è responsabile di una radicalizzazione del dibattito pubblico russo: e la morte di Dugina racconta parecchio del clima in Russia dopo l’invasione”.

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