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Nuove difese aeree a Kiev. La mossa Nato (anti-droni iraniani)

La Nato, davanti al rafforzamento russo via Iran, è chiamata a una nuova decisione importante: oltre alle difese aeree, a Kiev vanno forniti missili a più lunga gittata?

A Roma, le dichiarazioni clamorosamente pro-Russia e del tutto schiacciate sulla propaganda del Cremlino del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, portano la premier in pectore, Giorgia Meloni, a prendere una posizione molto forte sulla linea atlantista del suo futuro governo, dalla quale difficilmente si potrà tornare indietro. A Bruxelles, i leader dei Paesi membri dell’Ue si riuniscono per il Consiglio europeo in due giorni di incontri che avranno come tema fulcro la gestione delle politiche energetiche conseguenti alla guerra russa e il sostegno all’Ucraina.

Nella riunione, che avrà un momento speciale per il saluto degli altri capi di Stato e di governo a Mario Draghi, dovrebbe intervenire (in videocall) anche l’ucraino Volodymyr Zelensky che in questo momento ha tre obiettivi: assicurarsi la compattezza del fronte europeo, chiedere nuovi armamenti per rinforzare la difesa aerea e per sostenere la controffensiva, muovere la sensibilità europea sulle forniture di armi iraniane alla Russia.

L’attacco russo di lunedì 10 ottobre contro obiettivo civili a Kiev e altre città ucraine — poi ripetuto nei giorni successivi — ha riportato attenzione su uno degli elementi che da subito ha riguardato la difesa ucraina: la necessità di migliorare le proprie capacità contraeree.

Davanti a ciò, la Nato ha annunciato ufficiosa che consegnerà nei prossimi giorni all’Ucraina sistemi di difesa aerea per aiutare il Paese a difendersi soprattutto dall’attacco di droni, compresi quelli iraniani che sono stati protagonisti dei raid degli ultimi giorni. La Russia li sta utilizzando per colpire le infrastrutture critiche come le centrali elettriche; l’Iran nega questa fornitura ma nei giorni scorsi la Guida Suprema, Ali Khamenei, si è vantato delle qualità tecnologiche dell’industria aerospaziale del suo Paese.

I droni iraniani in Ucraina

In particolare il modello Shahed 136 viene usato in forma di sciami che diventano molto complicati da intercettare. Kiev ha dichiarato che questo genere di bombardamenti hanno distrutto quasi un terzo delle centrali elettriche ucraine nell’ultima settimana.

Gli Shahed 136 possono essere molto efficaci: viaggiano a bassa quota per centinaia di chilometri e hanno un motore molto rumoroso  — sono abbastanza individuabili, per questo ci sono vari video sui tentativi, anche riusciti, di abbatterli pure con sistemi non sofisticati e specifici, anche se il ministero dell’Interno ucraino ha chiesto ai possessori di armi di non sparare ai droni, lasciando che se ne occupino le forze dell’ordine e l’esercito. Una volta sull’obiettivo vi si schiantano sopra, facendo esplodere la carica che traportano.

Come dimostrato dall’uso che ne fanno gli Houthi, hanno anche qualità di precisone. I ribelli yemeniti, sempre riforniti e istruiti dai Pasdaran, li hanno usati molte volte; anche per esempio nel bombardamento agli impianti petroliferi sauditi che nel settembre 2019 ha momentaneamente scombussolato il mercato del greggio e derivati.

Quelli che colpiscono Kiev decollano dalla Bielorussia, che ha recentemente aumentato il proprio coinvolgimento al fianco di Mosca (il batka Aleksander Lukašenka nei giorni scorsi ha addirittura detto che potrebbe valutare azioni preventive a difesa della sicurezza nazionale del suo Paese).

Il governo ucraino ha dichiarato di aver abbattuto 223 Shahed-136 in 36 giorni dal primo utilizzo registrato, il 13 settembre a Kupyansk, nella Regione di Kharkiv. L’intelligence ucraina sostiene che  le intercettazioni hanno riguardato il 70% di questi droni. I dati non sono confermabili e sembrano ottimistici, e va detto che parte degli obiettivi sono stati comunque colpiti. È vero anche che se solo un terzo dei componenti degli sciami dovesse colpire gli obiettivi, significa che la Russia sta spendendo il triplo per essere efficace. Ma queste apparecchiature non sono troppo costose e sono pensate comunque per operare a perdere.

Le nuove forniture Nato

Parlando martedì durante una conferenza sulla sicurezza a Berlino, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto: “La cosa più importante che possiamo fare è mantenere ciò che gli alleati hanno promesso, ovvero aumentare la fornitura di sistemi di difesa aerea”, e per questo la Nato “consegnerà nei prossimi giorni sistemi di contro-drone per contrastare la minaccia specifica, compresi quelli provenienti dall’Iran”.

“Nessuna nazione dovrebbe sostenere la guerra illegale della Russia contro l’Ucraina”, ha aggiunto Stoltenberg. E sull’appoggio iraniano a Mosca l’Unione europea ha imposto delle sanzioni contro tre persone e una società; altre saranno probabilmente discusse anche durante il  Consiglio europeo (secondo fonti anonime sono state promosse dalla Francia).

Funzionari iraniani hanno dichiarato alla Reuters che Teheran ha promesso di fornire alla Russia, i cui sforzi militari in Ucraina sono ostacolati dalle sanzioni occidentali, missili e altri droni. Sebbene ufficialmente l’Iran continui a far circolare documenti per negare e bollare come “false flag” questi collegamenti, che violano la risoluzione 2231 delle Nazioni Unite (e infatti l’Onu sta valutando se aprire un’inchiesta). Attenzione qui: gli Shahed-136 hanno una versione “russa” (che si chiama Geran-2): questo permette una cortina fumogena — e formale — sulla fornitura.

In poco più di un mese, la guerra in Ucraina si è trasformata bruscamente da un’estenuante battaglia di artiglieria, in gran parte statica e destinata a durare fino all’inverno, in un conflitto a più livelli, in rapida escalation, che ha messo in discussione le strategie di Stati Uniti, Ucraina e Russia.

Il dilemma sugli effetti obiettivi

In particolare, si pone adesso la questione di proteggere l’Ucraina anche dai missili che  — secondo le intelligence statunitensi — l’Iran potrebbe inviare. Vettori come le nuove versioni dei Fateh-110 e i modelli a lungo raggio Zolfaghar, che lavorano terra-terra e possono arrivare ad avere un raggio di azione attorno dai 300 ai 700 chilometri. Questi due tipi di arma SRBM (missile balistico a corto raggio) potrebbero colmare altre mancanze specifiche che l’arsenale russo inizia a subire.

Se da una parte c’è la protezione del territorio ucraino, dall’altro resta il dilemma sul se rifornire Kiev con qualcosa di simile a quello che Mosca riceverà da Teheran. Poi c’è il dilemma nel dilemma che — nel caso che quel tipo di forniture vengano accordate — sta nel definire fin dove l’Ucraina può spingersi a colpire.

Ieri, mercoledì 19 ottobre, il presidente Vladimir Putin ha accordato la possibilità di applicare la legge marziale nelle “province russe” di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. Sono i territori delle quattro regioni ucraine annesse recentemente e che il Cremlino considera di propria sovranità.

Colpire in quelle zone è possibile, colpire in Crimea (annessa con modalità irregolari simili già nel 2014) è accettabile, colpire appena oltre il normale e riconosciuto confine russo è sconsigliato dai fornitori occidentali perché potrebbe essere un fattore di rottura troppo forte con Mosca.

Da tempo l’Ucraina ha chiesto agli Stati Uniti gli Atacms (acronimo di Army Tactical Missile System). Sono missili non balistici in grado di colpire fino a 300 chilometri di distanza e possono essere lanciati dai sistemi Himars già presenti (con efficacia, anche se armati di missili a più corto raggio) sul teatro di combattimento. Non sono stati ancora forniti per evitare che gli ucraini siano tentati nell’usarli contro obiettivi in Russia.

Il fatto adesso è che l’arrivo di nuovi missili superficie-superficie e altri droni potrebbe fornire alla Russia nuove potenti armi in un momento in cui le forze di Kiev stanno recuperando il territorio catturato in ampie zone dell’Ucraina meridionale e orientale. Successi dovuti in parte all’artiglieria fornita dall’Occidente, che adesso è chiamato a una scelta sul se dare (di nuovo) qualcosa in più per spingere controffensive come quella di Kherson, che è in fase positiva come nel Donbas.

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