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La Russia chiude i rubinetti del grano e ricatta il Sud del mondo

La Russia subisce il colpo di Sebastopoli e lo usa per rappresaglia con cui sospendere l’accordo sul grano. In bilico il destino di una crisi alimentare che potrebbe andare a colpire quella parte di mondo con cui Mosca vuole mostrarsi un modello alternativo all’Occidente

Il ministero della Difesa russo ha dichiarato oggi pomeriggio che Mosca ha deciso di sospendere l’attuazione dell’accordo per l’esportazione di grano mediato dalle Nazioni Unite. La decisione si collega al presunto attacco di droni ucraini (forse barchini kamikaze) contro le navi della Flotta del Mar Nero che sono ormeggiate in Crimea, la regione occupata dove — a Sebastopoli — il Cremlino ha piazzato il quartier generale di una delle flotte strategiche della marina russa.

Secondo Mosca, l’offensiva ucraina sarebbe avvenuto nella mattina di oggi, sabato 29 ottobre. L’Ucraina ha negato l’attacco. Per Mosca ci sarebbe anche un coinvolgimento del Regno Unito, ma le accuse non sono state supportate da nessun genere di prova.

Non è nuovo questo genere di dichiarazioni (lo si era già visto nel caso del sabotaggio del gasdotto Nord Stream) e potrebbe essere utilizzato per mascherare l’effettiva incapacità russa di proteggere lo spazio aereo nell’offensiva; anche nei territori occupati, anche nella Crimea — nonostante la Russia sia dal 2014 (anno dell’annessione) posizionata nella penisola Ucraina, anche con strutture strategiche.

La decisione di sospendere l’accordo sul grano — che permetteva al grano ucraino che i russi hanno sequestrato di accedere al mercato globale senza che i cargo venissero colpiti dalla flotta di Mosca — è un ricatto. Il Cremlino, che sta conducendo una guerra di invasione non accetta la risposta ucraina, perché complica la narrazione interna su cui si basa la tenuta del regime putiniano.

Colpire l’export del grano è qualcosa di simile ai ricatti energetici fatti all’Europa. L’accordo aveva visto fluire l’esportazione di oltre 9 milioni di tonnellate di grano dall’Ucraina e ha fatto crollare i prezzi alimentari globali. Ossia ha parzialmente disinnescato l’emergenza di una crisi che andrà a colpire inevitabilmente il Sud del Mondo — ossia i Paesi più poveri, con riflessi diretto sul Medio Oriente e il Nord Africa, e dunque sul Mediterraneo allargato (area di interesse nazionale italiano).

La dichiarazione russa è arrivata un giorno dopo che il capo delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esortato Russia e Ucraina a rinnovare l’accordo. Guterres ha anche chiesto ad altri Paesi, soprattutto occidentali, di accelerare la rimozione degli ostacoli che bloccano le esportazioni russe di cereali e fertilizzanti.

Il capo delle Nazioni Unite ha sottolineato l’urgenza di rinnovare l’accordo mediato dalle Nazioni Unite e dalla Turchia a luglio, che scade il 19 novembre, “per contribuire alla sicurezza alimentare in tutto il mondo e per attenuare le sofferenze che la crisi globale del costo della vita sta infliggendo a miliardi di persone”, ha dichiarato il suo portavoce.

Al di là del piagnisteo per il colpo subito a Sebastopoli (come se in guerra si dessero soltanto, senza concepire di poterle prendere), la Russia valutava già una mossa aggressiva sul grano, da usare come ricatto contro le sanzioni occidentali. L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebenzia, ha dichiarato che prima che Mosca discuta di un rinnovo “la Russia ha bisogno di vedere l’esportazione del suo grano e dei suoi fertilizzanti sul mercato mondiale, cosa che non è mai accaduta dall’inizio dell’accordo”.

Se è vero che la decisone può essere pericolosa per l’Europa — in quanto l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è già stato in grado di innescare processi di destabilizzazione — è altrettanto vero che può creare un vulnus nella narrazione russa. Mosca intende infatti dimostrare al Sud del Mondo l’efficienza e l’efficacia del proprio modello di governance degli affari internazionali e crearsi un ruolo di riferimento tra quei Paesi — mostrandosi come alternativa più attraente del datato Occidente.

Da una parte l’accusa contro Kiev, da tempo narrato come proxy occidentale, e contro Londra può essere una via per sganciarsi dalle responsabilità, dall’altro il rischio è che questo non tenga conto della consapevolezza e della determinazione di quei Paesi, i quali ormai vedono e leggono il comportamento russo.

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