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Così Africa Blues racconta il Mozambico nel 2100. La mostra

La mostra, aperta dal 17 marzo al 2 aprile, immerge il visitatore nella contraddizione del cambiamento climatico che, nei Paesi africani, è già presente e non solo futuro inevitabile. Tutti i dettagli

Un’oasi verde nel cuore di Roma, dentro questa oasi una serra, allestita con immagini sospese che rappresentano un Paese lontano. L’oasi è l’Orto Botanico della Capitale, situato proprio al centro della città, mentre la serra è lo spazio gestito dall’Università La Sapienza, allestito con le immagini fotografiche della mostra “Africa Blues. Mozambico nel 2100: proiezioni della crisi climatica sui volti di chi la vive ogni giorno”, promossa da WeWorld, organizzazione non governativa impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne, bambini e bambine in 27 Paesi, tra cui l’Italia.

E seppure non è detto che il tentativo fosse esplicitamente generare un effetto straniante, già da subito, superando il cancello d’ingresso dell’Orto Botanico, si percepisce la contrapposizione tra paesaggio urbano e paesaggio incontaminato, mano dell’uomo e natura. Una contrapposizione che si conferma arrivati alla serra, usata come centro espositivo, guardando le fotografie di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille, realizzate, appunto, in Mozambico con una tecnica innovativa, capace di far immergere il visitatore in un futuro possibile. In un gioco di sovrapposizioni, infatti, si possono osservare scene di vita quotidiana mescolate alle diapositive che mostrano quegli stessi luoghi drasticamente modificati dalla crisi climatica.

“Una proiezione del futuro nel presente – ha spiegato Delille nel corso della presentazione della mostra -. Immagini che sembrano giocose e colorate poi ci mostrano che al posto delle case, in quegli stessi luoghi, ci sarà il deserto, o il mare che avanza”. Cambiamenti che non riguardano solo il Paese africano. “Andare in Mozambico è stato uno dei capitoli di un progetto più ampio, che parte dal 2019, sulle conseguenze delle crisi climatiche”, ha sottolineato invece Piermartiri, “nato per provare a capire come rappresentare una realtà che è già si vive tutti i giorni”.

All’inaugurazione erano presenti anche Sabrina Alfonsi, assessora all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti del Comune di Roma, Edoardo Zanchini, direttore ufficio Clima del Comune di Roma, Margherita Romanelli, coordinatrice Policy & Advocacy Internazionale di WeWorld, Alcinda da Costa Salvado, dell’ambasciata della Repubblica del Mozambico in Italia, Fabio Attorre, Polo museale la Sapienza e Orto Botanico di Roma. Insieme hanno sottolineato come il cambiamento climatico sia ormai davanti agli occhi di tutti, e da parte delle istituzioni cittadine c’è stato il riconoscimento della necessità di un cambiamento tangibile. Riforestazione urbana, miglioramento del trasporto pubblico, efficientamento energetico degli edifici cittadini, ha detto Alfonsi, sono solo alcuni dei punti di un piano sistemico per rendere una metropoli come Roma più sostenibile.

I ringraziamenti della consigliera dell’ambasciata della Repubblica del Mozambico sono stati accompagnati dal racconto dell’ultimo degli effetti del cambiamento climatico nel suo Paese. Il ciclone Freddy ha infatti provocato tra febbraio e marzo oltre 400 i morti in Africa Australe, 73 persone in Mozambico, ed è solo l’ultimo in ordine di tempo.

“Con il nostro lavoro sul campo cerchiamo di mitigare e prevenire gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Non è però mai abbastanza”, ha spiegato Margherita Romanelli, di WeWorld. “Solo con una reale transizione ecologica e un drastico abbassamento delle emissioni nel nord del mondo possiamo davvero migliorare la nostra vita e di chi contribuisce meno al riscaldamento globale, ma ne subisce quotidianamente le conseguenze”.

Oltre le parole, poi, le immagini. Quelle scattate a Inhaca nella casa di Atália Almeida, una bambina di 8 anni, che va a scuola e aiuta sua madre nei campi di manioca e potrebbe vedere la sua casa travolta dal mare nel prossimo futuro, oppure le foto nei campi urbani di Jaulane, distretto municipale di Kanhlamankulu, in cui lavora Fernando Nhaca, agricoltore e artista di 49 anni, che lavora nei campi per mantenere i suoi 4 figli e sua moglie, e ogni sabato va in centro a Maputo a vendere le statue che crea tagliando il legno. Quegli stessi campi che in un futuro troppo prossimo potrebbero diventare deserto.

La mostra, ha sottolineato la consigliera da Costa Salvado, rappresenta perfettamente le condizioni del Paese. Il Mozambico soffre gli effetti di un cambiamento di cui non è stato causa, ma vittima”. Per questo, come ha sottolineato l’assessora Alfonsi, la mostra – visitabile dal 17 marzo al 2 aprile – è così importante: “La cultura ci aiuta, le mostre ci aiutano, gli artisti ci aiutano. Questa mostra è una spinta per noi amministratori e per la cittadinanza affinché si vada sempre più verso un cambiamento concreto”.

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