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Putin è nudo! Ma occhio alla disinformazione russa. La versione di Caprara

Il servizio giornalistico di Battistini e Traini ha smascherato una debolezza che il Cremlino non voleva venisse a galla. Questo caso ha fatto emergere un altro grosso problema legato alla disinformazione nel nostro Paese. Risulta inquietante che nel dibattito pubblico la si noti oggi e molto meno in altre occasioni. La penetrazione dell’influenza russa nella comunicazione italiana è estesa, ha radici antiche e rami nuovi. Colloquio con l’editorialista del Corriere, Maurizio Caprara

Che cosa, più di tutto, ha infastidito Mosca del servizio realizzato dai giornalisti della Rai, Battistini e Traini? Sicuramente il fatto che abbiano fatto un lavoro giornalisticamente straordinario, ma sopratutto il fatto di aver “evidenziato una vulnerabilità che il Cremlino non ha interesse a veder descritta”. A dirlo a Formiche.net è Maurizio Caprara, giornalista di vaglia, editorialista del Corriere della Sera che si è occupato in più occasioni di Russia e disinformazione.

La giornalista del Tg1 e l’operatore hanno raccontato l’ingresso delle truppe ucraine nel Kursk. L’Fsb ha aperto un procedimento penale contro Battistini e Traini. Se lo aspettava?

Benché la reazione sia ingiustificabile, è facile capire il motivo del fastidio del regime di Vladimir Putin per l’ingresso della giornalista Stefania Battistini e dell’operatore tv Simone Traini nella zona di Kursk. Che i militari ucraini dei quali i due italiani erano al seguito siano riusciti a entrare in territorio russo evidenzia una vulnerabilità che il Cremlino non ha interesse a veder descritta nei dettagli effettivi, innanzitutto al suo popolo e poi al mondo.

Adesso cosa c’è da aspettarsi sotto il profilo militare?

Seguiranno probabilmente risposte militari dure allo sconfinamento delle forze di Kyiv, ma quanto Battistini e Traini hanno descritto al Tg1 è equivalso al privare di un velo la realtà. Con autentico giornalismo, i due hanno reso visibile e dunque facilmente percepibile qualcosa di simile all’esclamazione con la quale uno solo dei presenti rivela la verità nella favola “I vestiti nuovi dell’Imperatore”: “Il re è nudo!”.

Quanto raccontato dai colleghi del Tg1 mette in discussione la leadership putiniana?

Il sovrano, che sia re o zar o presidente di uno Stato autoritario, per sua natura deve essere potente. Se lo si vede nudo il suo potere può vacillare. Al momento Putin non sembra assolutamente vacillante, non è che sia nudo. Le sue forze armate hanno però almeno un limitato fianco scoperto, dunque il sistema avverte l’esigenza di tamponare la falla nell’immagine del Capo. Scatta la logica del “colpiscine uno per educarne cento”. Si annuncia un’inchiesta che coinvolge il servizio segreto erede del Kgb, il Fsb, per far capire ad altri giornalisti tentati dal seguire l’esempio dei due della Rai che un atto del genere attirerebbe un’ostilità rivolta direttamente alle persone, non generica. E l’Fsb non ha precisamente i compiti della polizia municipale.

C’è, in questo contesto, il precedente contro un altro giornalista della Rai: Piagnerelli. Stessa tecnica?

La campagna di accusa lanciata contro Ilario Piagnerelli, altro inviato della Rai che lavora con efficacia sulla guerra in Ucraina, rientra nella stessa logica: da Mosca il giornalista va presentato come inaffidabile, così può apparire meno vero agli occhi del pubblico che i russi stanno aggredendo e gli ucraini reagendo. In questo caso, si perquisisce la produzione informativa di Piagnerelli per trovare una pecca, e quella la si trasforma in caso da dilatare. Sostenitori di complemento integrano l’azione di discredito su social network e per altre vie.

A questo punto si apre, anche per il nostro Paese, un grande tema legato alla disinformazione. Quanto è profonda e radicata la propaganda russa nel nostro dibattito pubblico?

Ai Paesi in guerra non è mai gradito quando un giornalista descrive il fronte dal versante opposto, seguendo le truppe nemiche. Per lo più la reazione consiste nel negare il visto a chi è stato dall’altra parte. La procedura annunciata verso Battistini e Traini, che deriva dalla delicatezza particolare dell’argomento trattato, la inattesa permeabilità del confine russo-ucraino, è coerente con l’illiberalità della Russia di Vladimir Putin. Risulta inquietante che nel dibattito pubblico del nostro Paese la si noti oggi e molto meno in altre occasioni. La penetrazione dell’influenza russa nella comunicazione italiana è estesa, ha radici antiche e rami nuovi. Dal remoto filosovietismo comunista del secolo scorso, che disponeva di testate finanziate e tanti sostenitori convinti e tantissimi dei quali non retribuiti, l’influenza russa ha tracimato. Da anni si è avvantaggiata di accondiscendenze in settori estranei a quella tradizione, neppure di sinistra, perfino nella destra estrema. È alquanto bizzarro che una parte di Europa a noi vicina, l’Ucraina, venga attaccata militarmente da Mosca e in Italia ci sia chi sostiene nelle trasmissioni televisive la necessità di confronti da par condicio dando spazio alle tesi dell’aggressore. Da Mosca c’è chi ha lavorato decenni per ottenere questa distorsione e ne ricava parecchi frutti. Automatico allora che scatti la messa in guardia a fini intimidatori.

Ai giornalisti della Rai la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha riservato questa definizione: “Traditori della professione che si sono abbassati a partecipare direttamente alla fabbricazione e diffusione della propaganda ucronazista”.

In un contesto diverso, la retorica ricorda quella dei processi staliniani ai comunisti ritenuti fuori linea. È dall’Italia, e per di più da una rete pubblica, che a Mosca l’apparato statale non apprezza assolutamente un servizio giornalistico del genere. Qui il messaggio, l’altolà, aumenta i suoi destinatari: oltre all’informazione, governo, parlamentari, imprese. Uno degli autori che meglio ha ricostruito tecniche di influenza adottate nel nostro Paese è stato Paolo Messa nel libro “L’era dello sharp power”.

Abbiamo anticorpi sufficienti?

I casi recenti devono portarci a riflettere e a rinvigorire gli anticorpi di un’informazione che avverta “l’obbligo inderogabile” del “rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. Come prescrive la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti e dovrebbe prescrivere, prima ancora, la coscienza di chi è tenuto a informare.



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