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Vi spiego la grande collaborazione tra Giovanni Falcone e la Polizia contro la Mafia

Ultimo di una serie di articoli a firma dell’ex componente del Pool Antimafia Giusto Sciacchitano. Il primo è consultabile qui, il secondo qui, il terzo qui, il quarto qui

 

Durante gli interrogatori di tutti gli imputati, emerse un altro aspetto del metodo Falcone: l’assoluta correttezza nel porre le domande e trascrivere (direttamente e a mano) le risposte. Mai (anche davanti ai successivi grandi pentiti di mafia) Falcone chiese se Tizio o Caio appartenevano alla mafia o avevano commesso reati o anche semplicemente se erano conosciuti dal dichiarante. Le domande erano tese ad approfondire fatti o responsabilità di persone di cui il dichiarante aveva già parlato; non cercavano mai di suggestionare l’interrogato. Il rapporto cui sempre ho assistito, era assolutamente professionale anche se improntato spesso a momenti di attenzione personale come quando, in occasione dell’omicidio di Salvatore Inzerillo, facemmo le condoglianze al cugino Rosario Spatola nel corso del successivo interrogatorio.

Noi, se posso dire, anche davanti agli autori di stragi o comunque di delitti efferati non avevamo emozioni: ci sentivamo lo Stato che amministra giustizia.

Mi è sembrato utile, perché la memoria non si perda completamente, ricordare l’inizio della comune attività e quello che è stato realmente l’incipit della nuova strategia antimafia che, negli anni successivi, è stata sviluppata e grandemente approfondita.
A partire da quegli anni si è sviluppato un eccezionale lavoro in Italia e all’Estero da parte dello SCO della Polizia di Stato e in primo luogo dai suoi Dirigenti Gianni De Gennaro (nella foto insieme a Falcone), Antonio Manganelli e Alessandro Pansa, che “inventarono” le modalità per la gestione dei primi pentiti, quando ancora nessuna norma prevedeva come metterli in sicurezza e come provvedere anche alle piccole spese (ricordo i casi, in qualche modo drammatici, di Francesco Marino Mannoia e Antonino Calderone, arrestato a Marsiglia) e intensificarono i rapporti con molte polizie straniere.

E’ difficile oggi, quando finalmente i Magistrati e le Forze di Polizia hanno strumenti adeguati o comunque certamente molto più avanzati e sofisticati, quando la legislazione antimafia italiana è certamente la più efficace in ambito internazionale, quando la collaborazione giudiziaria internazionale può giovarsi di strumenti normativi e prassi consolidate, è difficile, pensare che nulla di tutto ciò esisteva all’inizio di questa attività, e si è cercato di trovare nuovi metodi per invertire il triste negativo risultato di tanti processi antimafia.

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