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Ecco chi revisiona la spending review di Yoram Gutgeld e Piercarlo Padoan

Chi la sa più lunga sulla spending review? Nemmeno un mese fa, il commissario Yoram Gutgeld snocciolava le cifre di tre anni di revisione della spesa in una relazione (qui il documento) presentata alla Camera alla presenza del premier Paolo Gentiloni. Eppure per molti i conti continuano non tornare.

I NUMERI DEL GOVERNO

Leggendo la relazione sulla spending review (qui lo speciale di Formiche.net di un mese fa) la cifra è più o meno questa. Per la fine del 2017 l’esecutivo ha preventivato un risparmio sulla spesa statale di quasi 30 miliardi di euro, attraverso la riduzione o l’eliminazione di capitoli di spesa portata avanti dal 2014 (nel 2016 le sforbiciate avevano comportato risparmi complessivi per 25 miliardi). Nel 2018 i tagli cumulati dovrebbero toccare i 31 miliardi. Tutto bene? Non proprio. Per almeno due motivi. Punto primo, come evidenziato già da Formiche.net, parte dei risparmi ottenuti è stata per esempio “girata” sul altre voci di spesa, come il finanziamento dei servizi essenziali. In tutto una ventina di miliardi che che già di per sé annullerebbero o quasi i tagli di Gutgeld. Poi ci sono altre verità, come quelle messe nero su bianco ieri su Repubblica da Roberto Perotti, ex commissario alla spending fino al 2015 (il predecessore era Carlo Cottarelli), andatosene da Palazzo Chigi non senza polemiche.

IL “TRUCCO” DI GUTGELD

Dice il bocconiano Perotti: prendiamo per buoni i tagli ma se non si tiene conto delle maggiori uscite dal bilancio pubblico allora quella di Gutgeld è davvero una mezza verità. In sostanza, dice Perotti, il governo si è “dimenticato” di considerare l’incremento delle uscite, il quale vanifica nei fatti i tagli: se risparmio da una parte ma spendo più dall’altra, è tutto inutile. I numeri sono quelli della Ragioneria generale dello Stato. La quale certifica, tra il 2014 e il 2017, dunque nel medesimo periodo oggetto della spending review,maggiori uscite per 41,4 miliardi (la quasi totalità dovuta al bonus da 80 euro), a fronte di risparmi per 42,1 miliardi, addirittura 10 miliardi in più rispetto alle stime governative. Dunque, facendo una semplice sottrazione tra risparmi e uscite, alla fine i tagli effettivi si fermano a 770 milioni.

TAGLI (VERI) CERCASI

Anche da un’analisi di Roberto Petrini, sempre su Repubblica, salta fuori qualche contraddizione di fondo sulla spending review. Come quando per esempio si sostiene come se è vero che “i 29,9 miliardi a regime del 2017 sono il frutto di faticosi tagli e risparmi” allora è altrettanto vero “come mostra la tabella della stessa relazione sono l’effetto di misure cumulate durante i quattro anni e che comunque non corrispondono ai semplici risparmi per beni e servizi”. Senza considerare che, per ammissione dello stesso Gutgeld, la spesa potenzialmente aggredibile arriva a 327 miliardi. C’è po chi, come il Fatto Quotidiano, fa notare come se è vero che il governo ha tagliato 30 miliardi, nel 2016 la spesa corrente ha toccato la cifra record di 706 miliardi.

IL GIOCO DELLE TRE CARTE

Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio, la prende invece da un’altra parte. Facendo notare in un commento alla relazione di Gutgeld come l’esecutivo abbia utilizzato a suo uso e piacimento il bonus da 80 euro, una volta ponendolo sotto il cappello della riduzione delle tasse, un’altra additandolo come “prestazione sociale”, facendo una sorta di gioco delle tre carte.  “Dapprima”, scrive, “si tolgono dalla spesa gli 80 euro, perché è riduzione di tasse e quindi ecco che si ottiene circa la metà dei risparmi. Poi si riduce la pressione fiscale della misura degli 80 euro, e si fa la ruota come i pavoni. Infine, si dice che la minore spesa, di cui però circa la metà erano gli 80 euro che sono minori tasse è andata a finanziare altra spesa, sotto forma di “prestazioni sociali”, cioè la contabilizzazione degli 80 euro”. Una piroetta.

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