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Cosa accadrà alla Direzione del Partito democratico

Una settimana. Sono passati solo sette giorni dalla débâcle elettorale del Partito democratico e dalle conseguenti dimissioni di Matteo Renzi, eppure sembra passata già un’era geologica.

Infatti, un minuto dopo le prime proiezioni, si è aperta una nuova, ennesima, resa dei conti tra i democratici, innescata dalle polemiche dimissioni del segretario, che ha fatto un passo indietro ma che non ha alcuna intenzione di rinunciare a combattere. Il Partito democratico arriva come una sorta di polveriera pronta a scoppiare alla vigilia di una direzione che – oltre ad ufficializzare le dimissioni dell’ormai ex segretario – dovrebbe provare a trovare un equilibrio tra le varie anime del partito per affrontare almeno la prima parte della nuova legislatura: consultazioni al Quirinale, elezione dei Capigruppo alla Camera e al Senato, presidenze di commissioni.

Toccherà al vicesegretario Maurizio Martina, vista l’assenza di Matteo Renzi in Direzione, la relazione introduttiva, dando il via all’”analisi della sconfitta”. Proprio Martina dovrebbe guidare il Pd, da reggente, in questa fase, almeno fino alla prossima Assemblea Nazionale che dovrebbe tenersi il prossimo 5 Aprile, durante la quale si dovrà decidere se il prossimo segretario dem sarà eletto con un percorso congressuale che culminerebbe con le primarie, o con un voto nel corso dell’assemblea stessa.

DIREZIONE PERICOLOSA

Sono almeno tre le questioni che i democratici sono chiamati a dirimere in Direzione, il tutto sul filo dell’equilibrio per evitare che le tensioni interne trasformino il confronto in una “guerra”. Il primo ad esserne consapevole è proprio Martina che cercherà di analizzare il risultato elettorale evitando di riversare sull’ex segretario tutte le responsabilità, perseguendo invece una collegialità nella guida del partito, almeno per questo mese, evitando nuove lacerazioni tra maggioranza e minoranza.

ALLEANZA

A dispetto delle enormi pressioni esterne e degli appelli di intellettuali e opinionisti per un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, nel Pd, con le poche eccezioni di Michele Emiliano e Sergio Chiamparino, tutti i big sono d’accordo nel non lasciare spazio ad alcuna intesa con i “pentastellati”, cosa che oggi potrebbe essere sancita anche con un voto. Diverso sarebbe un discorso rispetto a un “Governo del Presidente”, ipotesi che appare ancora lontana in questa prima fase post elettorale, che veda tutti (o quasi) i partiti coinvolti: in quel caso l’ala “responsabile” o “governista” del partito potrebbe uscire allo scoperto, creando qualche tensione con i renziani, restii, per ora, a qualsiasi ipotesi che veda il Pd coinvolto nel governo.

LA SUCCESSIONE A RENZI

Un altro nodo che dovrà essere sciolto nei prossimi giorni riguarda la scelta del nuovo segretario. Sono molti i nomi che si fanno in questi giorni: da quello del ministro Graziano Delrio (che però nega ogni interesse a guidare il Partito) a quello del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, dal renziano Doc Roberto Giachetti al nome di Maurizio Martina stesso. Matteo Renzi ha fatto capire esplicitamente che non parteciperà direttamente alla contesa (“Ma con lui non è mai detto” dice chi ha avuto l’occasione di lavorare accanto a lui in questi anni), ma è probabile che un suo uomo di fiducia possa tentare la corsa per la guida del partito. Per ora sembra che tutti preferiscano affidare all’Assemblea Nazionale di aprile, dove Renzi ha numeri blindati, la scelta del successore dell’ex rottamatore, evitando così le primarie. Un percorso sulla carta lineare, ma che potrebbe subire qualche scossone viste le tensioni nel Pd, magari anche durante la Direzione di oggi.

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